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Come cambia (se cambia) la sanità territoriale: la delibera della Regione Veneto sulle Case della Comunità

Con la Delibera di giunta 721 del 22 giugno scorso, la Regione Veneto ha provato ad abbozzare l’attuazione della riforma della sanità territoriale prevista dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e dal Decreto ministeriale 77 del 23 maggio 2022 che introduce le Case e gli Ospedali della Comunità.
Si tratta di una prima sistemazione che evidentemente risente della revisione in corso da parte del Governo del Pnrr in tutte le sue parti, compresa a Missione 6 concernente la Salute. Si ha già notizia di una rimodulazione del target delle Case della Comunità il cui numero scende da 1.350 a 936; degli Ospedali della Comunità (da 400 a 304) e delle Cot, Centrali operative territoriali (da 600 a 524). La promessa è che le strutture espunte verranno realizzate successivamente al 2026 con fondi nazionali, ma tale “riprogrammazione” al momento assume l’identità di un vero e proprio taglio.
Tornando alla delibera regionale, essa propone delle risposte alle domande che da tempo aleggiano nell’aria: quali medici andranno a lavorare nelle Case della Comunità? E come si attuerà il concetto prossimità che dovrebbe migliorare la qualità del servizi per i pazienti, tagliando le code ai pronto soccorsi, le attese estenuanti per la fissazione delle visite mediche e allentare la morsa sugli ospedali?
In realtà gli elementi si trovano già nell’Accordo Collettivo nazionale dei medici di base del 17 maggio 2022 che la Regione Veneto si limita a richiamare. L’Acn 2022 prevede infatti che i medici di famiglia siano tenuti, previo accordo a livello regionale, ad aderire alle Aft, Aggregazioni funzionali territoriali, a loro volte chiamate a garantire l’assistenza primaria 24 ore su 24 per 7 giorni su 7 alla popolazione.
Si tratta di forme organizzative monoprofesisonali, nelle quali cioè ogni medico lavora ancora per sé, con i propri pazienti, risorse e competenze. La delibera precisa tuttavia che le Aft “afferiscono alla forma organizzativa multiprofessionale (UCCP) individuata per ogni Casa della Comunità hub del territorio di riferimento”. Anche qui niente di veramente nuovo sotto il sole: di Aft e Uccp si parla fin dal decreto Balduzzi del 2012. La vera novità, se vogliamo, è che ora tali forme organizzative devono poter funzionare.
Nelle Case della Comunità l’assistenza di base e le cure primarie vengono pertanto garantite attraverso le Aft, le quali sono dimensionate per un bacino di popolazione di massimo 30 mila abitanti. La delibera stabilisce inoltre che le Case della Comunità debbano essere dotate di assistente di studio per garantire accessibilità programmata a breve e medio termine, la gestione di agende e la collaborazione ad iniziative di presa in carico proattiva e di medicina di popolazione. Dovranno disporre di spazi per ospitare ambulatori infermieristici per la gestione integrata delle cronicità (infermiere di comunità) e per la risposta ai “bisogni occasionali” della popolazione. Dovranno, non da ultimo, essere dotate di “strumenti utili alla diagnostica di primo livello”, che saranno messi a disposizione del medico di medicina di generale.
Sulla carta tutto molto stimolante, tuttavia nel testo della Regione Veneto non è chiara la dotazione di personale infermieristico per le Case di Comunità Hub che invece viene espressamente prevista nella normativa nazionale. L’assistenza infermieristica sembra pertanto essere garantita solo in caso di disponibilità di risorse finanziarie e di personale.
Appaiono molto generici anche i riferimenti alle cure domiciliari nonché quelli all’assistenza specialistica, due passaggi cruciali per riuscire a dare un servizio ben calibrato ai pazienti evitando estenuanti code ai pronto soccorso o infine attese al telefono con il Cup.

Foto di mrsiraphol on Freepik

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