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Adeguare le pensioni alle aspettative di vita?

Cerchiamo di fare chiarezza sul presunto studio Inps

Sono circolate in queste settimane sulla stampa nazionale e locale delle indiscrezioni in merito ad un presunto studio dell’Inps, che sarebbe sul tavolo del governo, in cui si svolgerebbero una serie di valutazioni sull’equità del sistema pensionistico italiano partendo dal dato di fatto che chi ha svolto lavori meno usuranti o vive in regioni dove la sanità funziona meglio ha aspettative di vita più lunghe e percepisce l’assegno per un lasso di tempo più lungo.
Tale studio sosterrebbe l’opportunità di agire sul coefficiente di trasformazione dei contributi versati, oggi uguale per tutti, tenendo conto di queste differenze regionali e della tipologia di lavoro svolto dall’assicurato durante il periodo di attività.
In parole povere, si parlerebbe di tagliare l’assegno a chi ha aspettative di vita più lunghe perché vive in una regione in cui la sanità funziona meglio e/o perché ha svolto lavori meno usuranti.
Diciamo subito che i vertici veneti dell’Istituto risultano aver smentito che la questione sia stata posta in questi termini. Come Sindacato sosteniamo che una riforma del sistema, pur auspicabile, deve essere complessiva, non deve prendere il problema per pezzi e soprattutto deve andare nella direzione di migliorare le condizioni di vita di tutte le pensionate e i pensionati. Pertanto, prima di addentrarsi nella selva delle differenze regionali, bisogna capire dove vogliamo andare e chi vogliamo tutelare.
Che il sistema pensionistico attuale sia iniquo non ce lo dicono le differenze sulle aspettativa di vita regionali, ma i dati attuali sulle pensioni femminili, che sono mediamente meno della metà di quelle degli uomini; le proiezioni sulle pensioni dei giovani, per i quali i mille euro lordi al mese restano un miraggio; l’assenza di flessibilità in uscita; il precariato che ruba il futuro a giovani e donne.
Se di equità vogliamo parlare, il ragionamento non può dunque prescindere da tre temi: la tutela dei lavori gravosi, che vanno circoscritti attentamente; la flessibilità in uscita, che rappresenta il vero nodo che la politica italiana degli ultimi 20 anni non riesce a districare; il riconoscimento dei periodi di cura e di studio, che attualmente penalizzano in maniera spropositata ed insostenibile le donne e i giovani.
La Cgil c’è su una riforma che punti a garantire pensioni decenti e non a fare cassa. Il che comporta dunque anche invertire la rotta del mercato del lavoro che sta producendo lavoratori poveri destinati a percepire pensioni da fame. Poniamo, inoltre, il tema della difesa del potere di acquisto delle pensioni che va preservato dalle tentazione, particolarmente presente anche in questo governo, di usare le pensioni e i pensionati come un bancomat.

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