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Spi Cgil Verona: la salute è ancora un diritto?

Sono tre le questioni che ci fanno dire che la sanità non è più un diritto per tutti, tanto più per le persone anziane esposte al bisogno di cure adeguate e continuative:

IL DEFINANZIAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA. La spesa sanitaria prevista per il 2023 è pari a 136.043 milioni, con un tasso di crescita del 3,8 per cento rispetto all’anno precedente con un’incidenza sul Pil del 6,7%. Un progresso di 4,3 mld rispetto alla Nota di Aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza) del 2022 che segnalava per il 2023 una spesa a 131,724 mld con un’incidenza al 6,6% del Pil.
Nel 2024 è confermato però un calo della spesa che scenderà a quota 132,737 miliardi al 6,3% del Pil. E nel 2025 si prevede una spesa di nuovo in crescita a 135,034 miliardi ma con un impatto sul Pil del 6,2%. Per il 2026 la spesa salirà ancora a quota 138,399 miliardi ma l’incidenza sul Pil rimarrà costante al 6,2%.

Nel triennio 2024-2026 il Def stima dunque una crescita media annua del Pil nominale del 3,6% a fronte dello 0,6% di quella della spesa sanitaria. E non fa alcun cenno alle risorse necessarie per abolire gradualmente il tetto di spesa per il personale sanitario e per approvare il cd. “decreto tariffe” sulle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e di protesica: due priorità assolute per rilanciare le politiche del capitale umano e garantire a tutti i “nuovi” Livelli essenziali di assistenza e l’accesso alle innovazioni.

Questi dati sintetici ci dicono che la sanità pubblica non rappresenta una priorità politica per l’attuale esecutivo ed un terreno dove drenare risorse per destinarle ad interventi promessi in campagna elettorale a cominciare dalla cosiddetta riforma fiscale che comporta minori entrate da parte dello Stato che devono essere ripianate sia de finanziando scuola e sanità, sia intervenendo sulla rivalutazione delle pensioni come è successo alcuni mesi fa.

L’ARRETRAMENTO DEL PNRR SULLA SANITÀ. Nella revisione della Missione 6 del Pnrr il Governo ha pensato bene di intervenire tagliando 96 Ospedali di comunità, 414 Casa di Comunità, 22 interventi su ospedali già esistenti per profonde ristrutturazioni.

Un’azione ingiustificabile, che avviene in un momento in cui la pandemia aveva evidenziato tutti i limiti strutturali del sistema sanitario già indebolito da 15 anni di mancati incrementi di risorse. La pandemia ha reso ineludibile il valore di e la necessità di una sanità radicata nel territorio che garantisca ai cittadini prevenzione e cura. Ha reso evidente che il sostegno economico alla sanità deve essere visto non come una spesa ma come un investimento: in questo momento così cruciale per il nostro paese si decide di non orientare con forza il PNRR verso un rilancio struttura della sanità, ma ad un suo ulteriore de-finanziamento.

Il taglio delle Casa della Comunità è una esplicita volontà di non attuare quel modello organizzativo di assistenza di prossimità, luogo fisico e di facile individuazione al quale i cittadini avrebbero avuto accesso per bisogni di assistenza sanitaria, sociosanitari e sociale.
L’obbiettivo previsto nel PNRR era di finanziare 1.350 Case di Comunità, ne tagliano 414. Il Governo prevede di ridurre gli Ospedali di Comunità da 400 a 304 con un taglio di 9. I Centri Operativi Territoriali da 600 a 524.

I finanziamenti per il personale che dovrebbe essere impiegato nelle Case di comunità, negli Ospedali di Comunità sono assolutamente insufficienti. Per garantire la presa in carico del paziente servono equipe multiprofessionali gestiti in modo integrato sia a livello ospedaliero che nel territorio. Con questo provvedimento muore anche ogni azione volta a ridurre le diseguaglianze territoriali che esistono oggi nel nostro paese anticipando di fatto la così detta “autonomia differenziata”

IL TRASFERIMENTO AL PRIVATO DI RISORSE E COMPETENZE. Il modello organizzativo si muove in modo strisciante verso una privatizzazione della sanità pubblica già ampiamente sostenuta sia da assicurazioni, sia da previdenza integrativa. Le prestazioni che non trovano risposte nelle strutture pubbliche vengono infatti dirottate sempre più speso verso un sistema di monetizzazione della salute che tuttavia non può rispondere alla sua missione che la Costituzione assegna al servizio pubblico, che deve essere universalistico, equo e per tutti. Nell’orizzonte del privato ci sono infatti primariamente obiettivi di reddittività e profitto per remunerare il capitale investito.

Questa “mutazione genetica” è chiaramente apprezzabile sul medio periodo: dal 2008 ad oggi, i governi che si sono succeduti hanno tagliato 37,5 miliardi alla sanità pubblica motivando sempre con “esigenze di bilancio”, “risparmi, “contenimento della spesa pubblica”, “vincoli UE”. Di questa via, inoltre, hanno quasi azzerato i Fondi per le Politiche Sociali e quelli per la Non Autosufficienza.
Allo stesso tempo, però, per il “welfare aziendale” e per la “sanità integrativa” sono stati defiscalizzate le polizze per un massimale annuo fino a circa €. 3.200,00 per assicurato e per un totale complessivo ad oggi di 37,2 Mld di Euro, oltre alla defiscalizzazione per le imprese dei premi di produzione ai propri dipendenti convertiti in polizze collettive.
A iniziate negli anni novanta, le aziende sanitarie private hanno visto una significativa modificazione del proprio ruolo che, da integrativo rispetto agli erogatori pubblici e regolato da convenzioni, è diventato più concorrenziale e governato dai sistemi regionali di accreditamento e di finanziamento. A seguito del processo di regionalizzazione, peraltro, il ruolo attuale e prospettico del privato accreditato risulta significativamente differente da regione a regione.

ALCUNI NUMERI. Nel 2021 le strutture private accreditate ospedaliere sono 995, un numero quasi raddoppiato in 10 anni (n. 525 nel 2011, 46,9% del totale) e pari al 48,6% del totale. Tra il 2011 e il 2021 aumentano anche quelle di specialistica ambulatoriale da 5.587 a 8.778 (da 58,9% a 60,4% del totale), quelle deputate all’assistenza residenziale che da 4.884 strutture passano a 7.984 (da 76,5% all’84% del totale) e semiresidenziale che da 1.712 salgono a 3.005 (da 63,5% a 71,3% del totale). Infine le strutture riabilitative passano da 746 a 1.154 (da 75,1% al 78,2% del totale).
La continua espansione della sanità privata avviene contemporaneamente ad una sanità pubblica ormai in ginocchio  con lunghissime liste di attesa, pronto Soccorso allo stremo, medici di medicina generale assenti in molte aree del paese, massiccio ricorso alle cure del privato (con relativo esborso dalle tasche dei cittadini) per far fronte al deserto sanitario del pubblico, generale sottofinanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, interi settori dalla Salute Mentale all’assistenza agli anziani abbandonati a se stessi

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