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2 giugno Festa della Repubblica Italiana: il contributo delle donne

Hanno collaborato alla stesura: Bianca Menichelli, Rosa Rizzi, Manuela Giarolo

Perché ricordare le nostre Madri Costituenti, oggi, 2 giugno 2023, Festa della Repubblica Italiana? Richiamare alla memoria ciò che le nostre Madri Costituenti hanno vissuto nella Resistenza, le parole che hanno detto, la storia che hanno contribuito a scrivere con grande coraggio, le battaglie che queste donne hanno portato avanti, è importante perché sono ancora straordinariamente attuali. Inoltre, le sofferenze, le lotte, i conflitti che hanno subito e superato fanno parte della storia che non va dimenticata sia perché testimonianza di forza, capacità e determinazione delle Costituenti che non si sono arrese davanti alle tante difficoltà sia perché è importante ricordare che il loro contributo fu enorme e determinante per l’acquisizione di diritti a tutela delle donne.

Ripercorrendo la storia

La scelta di 30 mila donne di entrare nelle forze combattenti della Resistenza e di 70 mila nei Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai Volontari della Libertà ha richiesto senza dubbio un grado di determinazione molto forte. Molte hanno motivato la loro azione affermando di aver voluto reagire all’ingiustizia. Le statistiche ufficiali dicono delle donne resistenti: 4600 arrestate, torturate, processate, 275 deportate nei campi di concentramento, 623 giustiziate o cadute in combattimento. Tuttavia, il contributo delle donne alla Resistenza è stato in larga misura sottaciuto. Nei libri scritti da uomini, storici o politici, spesso ex comandanti partigiani le donne sono poco presenti, rappresentate quasi sempre in funzione di aiutanti, di collaboratrici anziché di vere e proprie combattenti in prima linea. Esse restano sempre ai margini di un racconto che ormai si è fossilizzato, nonostante le testimonianze non manchino, i racconti siano stati raccolti e diffusi, le storie siano state tramandate e studiate.

“Senza le donne non ci sarebbe stata la Resistenza. Abbiamo rischiato come gli uomini ma allora in tanti ci guardavano male. E il giorno della Liberazione ci chiesero di non sfilare” commenta Lidia Menapace, partigiana con il nome di battaglia “Bruna”, successivamente parlamentare ed attivista pacifista.

La partecipazione delle donne alla Resistenza fu certamente superiore alle cifre ufficiali. Gli uomini furono restii nel concedere e le donne riservate nel richiedere.

Dopo più di vent’anni di dittatura finalmente si concretizzava la sconfitta militare del nazifascismo, nella più sanguinosa e criminale guerra che la storia dell’umanità avesse mai conosciuto fino ad allora e di cui il fascismo italiano fu complice.

Era necessario porre le basi del nuovo Stato, di un’Italia diversa in cui gli stessi valori che avevano ispirato la Resistenza e la lotta contro il nazifascismo, i valori della democrazia, della libertà, della giustizia, del bene comune e della solidarietà, potessero essere i principi fondamentali della nuova società a cui la maggioranza degli italiani aspirava.

La prima esperienza politica per le donne italiane fu la partecipazione alla Consulta Nazionale. Erano le prove generali della democrazia parlamentare e per le 13 donne presenti fu un vero battesimo politico.

Il 5 aprile 1945 viene istituita la Consulta Nazionale, organo assembleare non elettivo composto da 430 membri designati dal governo, col compito di fornire pareri su materie oggetto di provvedimenti legislativi, con particolare attenzione alle leggi fiscali, elettorali e di bilancio per le quali è obbligatoria la richiesta di parere da parte del governo. La Consulta tiene la prima seduta pubblica il 25 settembre 1945 e cessa formalmente con le elezioni del 2 giugno 1946.

Nella seduta del 1° ottobre 1945 della Consulta Nazionale chiede di parlare la Consultrice Angela Maria Cingolani Guidi.

“[…] Ardisco pensare […] di poter esprimere il sentimento, i propositi e le speranze di tanta parte di donne italiane: credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi consultrici, invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con voi ha vinto con armi talvolta diverse, ma talvolta simili alle vostre e che ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale, elevazione morale. […] E’ mia convinzione che se non ci fossero stati questi 20 anni di mezzo, la partecipazione della donna alla vita politica avrebbe già una storia. Comunque, ci contentiamo oggi di entrare nella cronaca, sperando, attraverso le nostre opere, di essere ricordate nella storia del secondo risorgimento del nostro Paese… La nostra lotta contro la tirannide tramontata nel fango e nel sangue ha avuto un movente eminentemente morale, poiché la malavita politica, che faceva mostra di sé nelle adunate oceaniche, fatalmente sboccava nella malavita privata. Per la stessa dignità di donne noi siamo contro la tirannide di ieri come contro qualunque possibile ritorno ad una tirannide di domani…”

Ora le donne sperano nella parità.

Il diritto al voto alle donne è sancito da un decreto del febbraio 1945 composto di solo tre articoli: il primo estende il diritto di voto alle donne, il secondo ordina la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, il terzo esclude le prostitute che esercitano “il meretricio al di fuori di luoghi autorizzati”, articolo poi abrogato nel 1947.
Nel decreto non è prevista l’eleggibilità delle donne, che sarà sancita solo nel marzo 1946, pochi giorni prima delle tornate delle elezioni comunali.


Il 2 giugno 1946 si celebrano le elezioni.

Dal 1928 il popolo italiano non aveva più votato. Sono le prime elezioni a suffragio universale.

Ad ogni elettore di almeno 21 anni di età vengono consegnate due schede: una per la scelta fra Monarchia e Repubblica, una per l’elezione con sistema proporzionale dei 556 deputati dell’Assemblea Costituente.

Sotto la spinta di un’intensa propaganda sull’obbligatorietà del voto, anche se poche sono le immagini femminili per la propaganda elettorale, l’affluenza delle donne alle urne fu altissima: 89,1%, con una differenza irrisoria rispetto agli uomini.

Né posso passare sotto silenzio il giorno che chiuse una lunga e difficile avventura, e cioè il giorno delle elezioni. Era quella un’avventura cominciata molti anni fa, prima dell’armistizio, del 25 luglio, il giorno – avevo poco più di vent’anni – in cui vennero a prendermi per condurmi in prigione. Ero accusata di aver detto liberamente quel che pensavo. Da allora fu come se un’altra persona abitasse in me, segreta, muta, nascosta, alla quale non era neppure permesso di respirare. È stata un’avventura umiliante e penosa. Ma su quel segno in croce sulla12 pt scheda mi pareva di aver disegnato uno di quei fregi che sostituiscono la parola fine. Uscii, poi, liberata e giovane, come quando ci si sente i capelli ben ravviati sulla fronte.” ricorda Alba De Cespedes, scrittrice, partigiana con il nome di battaglia “Clorinda”.

“Anche per me, come per tutti gli scrittori, dicela scrittrice Maria Bellonci, è un fatto interiore quello del 2 giugno quando di sera, in una cabina di legno povero e con in mano un lapis e due schede, mi trovai all’improvviso di fronte a me, cittadino. Confesso che mi mancò il cuore e mi venne l’impulso di fuggire. Non che non avessi un’idea sicura, anzi; ma mi parvero da rivedere tutte le ragioni che mi avevano portato a quest’idea, alla quale mi pareva quasi di non aver diritto perché non abbastanza ragionata, coscienziosa, pura.  Mi parve di essere solo in quel momento immessa in una corrente limpida di verità; e il gesto che stavo per fare, e che avrebbe avuto una conseguenza diretta mi sgomentava. Fu un momento di smarrimento: lo risolsi accettandolo, riconoscendolo; e la mia idea ritorna mia, come rassicurandomi. […]”

“Quanto al ’46”, ricordala scrittrice e saggistaAnna Banti,e a quel che di importante, per me, ci ho visto e ci ho sentito, dove mai ravvisarlo se non in quel due giugno che, nella cabina di votazione, avevo il cuore in gola e avevo paura di sbagliarmi fra il segno della repubblica e quello della monarchia?  Forse solo le donne possono capirmi: e gli analfabeti.  Era un giorno bellissimo, si votava in vista di un giardino dove i bambini giocavano fra i grandi che, calmi e sorridenti, aspettavano, senza impazienza, di entrare. Una riunione civilissima; e gli elettori eran tutti di campagna, mezzadri e manovali. Quando i presentimenti neri mi opprimono, penso a quel giorno e spero.

Il ricordo di cosa fu per le donne italiane il loro primo voto, viene bene espresso anche dalle parole di Anna Garofalo, giornalista e conduttrice radiofonica: “Lunghissima attesa davanti ai seggi. Sembra di essere tornati alle code per l’acqua, dei generi razionati. Abbiamo tutte nel petto un vuoto da giorni d’esame, ripassiamo mentalmente la lezione: quel simbolo, quel segno, una crocetta accanto a quel nome. Stringiamo le schede come biglietti d’amore… Orgia di cartelli elettorali sui muri, fervore di comizi, discussioni accanite nei locali pubblici, ad ogni cantone, in ogni mercato o piazza. È bello veder riprendere vita a un organo anchilosato: il cervello”.

Al referendum istituzionale circa 12.700.000 italiani votano per la Repubblica, circa 10.700.000 votano per la monarchia.

L’insediamento della Assemblea Costituente

Il 2 giugno 1946, su 556 membri totali sono elette 21 donne all’Assemblea Costituente.

La DC ottiene il 35,2% dei voti e 207 costituenti, ha fra i suoi rappresentanti 9 donne (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici Agamben, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Maria Nicotra Fiorini, Vittoria Titomanlio),

Il PSIUP ha il 20,7%, 115 seggi e 2 donne (Bianca Bianchi, Angelina Livia Merlin).

Il PCI ottiene il 19% dei consensi, 104 costituenti e fra di essi 9 donne (Adele Bei, Nadia Gallico Spano, Leonilde (Nilde) Iotti, prima donna Presidente della Camera, Teresa Mattei, Angiola Minella Molinari, Rita Montagnana Togliatti, Teresa Noce Longo, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi).

40 seggi vanno a vari gruppi moderati, 30 al Partito dell’Uomo Qualunque, di cui uno assegnato a una donna (Ottavia Penna Buscemi, prima donna candidata Presidente della Repubblica); 23 seggi sono assegnati ai repubblicani e 7 al Partito d’Azione: fra loro nessuna donna.

Le ventuno donne Costituenti appartengono prevalentemente alla classe media.

Tredici sono laureate, soprattutto in materie umanistiche; ci sono un’impiegata e una casalinga; due delle comuniste erano state operaie.

Hanno una buona cultura, provengono per la maggior parte dal Centro-Nord del Paese, dove lo sviluppo economico era stato più precoce e dove si era vissuta la Resistenza.

I 556 componenti dell’Assemblea Costituente delegati ad elaborare la nuova Costituzione, appartengono per oltre il 60% ai partiti politici che hanno combattuto la dittatura e, in particolare durante la Resistenza, avevano assunto un ruolo guida nella lotta armata contro il nazifascismo e nella transizione dallo Stato fascista al nuovo Stato democratico.

E’ la prima volta nella storia d’Italia che le grandi masse popolari, i cittadini e le cittadine, partecipano consapevolmente al loro destino, in risposta alla dittatura e alla guerra.

A Roma il 25 giugno 1946 l’Assemblea Costituente comincia i suoi lavori a Montecitorio con le tribune gremite di un pubblico festoso.

Dopo un discorso introduttivo di Vittorio Emanuele Orlando, decano dall’assemblea, viene eletto presidente il socialista Giuseppe Saragat; vicepresidenti sono il comunista Umberto Terracini, il repubblicano Giovanni Conti e i democristiani Giuseppe Micheli e Fausto Pecorari.

Il 19 luglio l’Assemblea costituente nomina una commissione di 75 componenti per la redazione della nuova Carta Costituzionale, cinque tra loro sono donne.

Sono rappresentate tutte le categorie operative del paese: politiche, amministrative, sindacali, professionali, accademiche, finanziarie.

La Carta è perfezionata dal punto di vista linguistico per rendere accessibile a tutti la lettura e la comprensione degli articoli.

Dopo circa sei mesi di attività, la “Commissione dei 75” presenta il suo lavoro all’Assemblea che nel corso di quasi tutto il 1947 discute, integra e modifica articolo per articolo la prima proposta.

Teresa Mattei ha 22 anni quando nel 1943 entra nel Partito Comunista. Partecipa alla lotta partigiana a Firenze come staffetta. Sarà tra le fondatrici dei gruppi di difesa della donna e dell’UDI, sarà lei ad introdurre la mimosa come simbolo della giornata della donna. E’ una delle 21 donne elette all’Assemblea Costituente. Teresa interviene nella seduta pomeridiana del 18 marzo 1947: “Onorevoli colleghi, […] vorrei solo sottolineare in questa Assemblea qualcosa di nuovo che sta accadendo nel nostro Paese. Non a caso, fra le più solenni dichiarazioni che rientrano nei 7 articoli di queste disposizioni generali, accanto alla formula che delinea il volto nuovo, fatto di democrazia, di lavoro, di progresso sociale, della nostra Repubblica, accanto alla solenne affermazione della nostra volontà di pace e di collaborazione internazionale, accanto alla riaffermata dignità della persona umana, trova posto, nell’articolo 7 (diventerà l’art. 3) la non meno solenne e necessaria affermazione della completa eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di opinioni religiose e politiche. Questo basterebbe, onorevoli colleghi, a dare un preminente carattere antifascista a tutta la nostra Costituzione, perché proprio in queste fondamentali cose il fascismo ha tradito l’Italia  togliendo ai lavoratori le loro libertà, conducendo una politica di guerra, una politica di odio verso gli altri Paesi, facendo una politica che sopprimeva ogni possibilità della persona umana di veder rispettate le proprie libertà, la propria dignità, facendo in modo di togliere la possibilità alle categorie più oppresse, più diseredate del nostro Paese, di affacciarsi alla vita sociale, alla vita nazionale, e togliendo quindi anche alle donne italiane la possibilità di contribuire fattivamente alla costituzione di una società migliore, di una società che si avanzasse sulla strada del progresso, sulla strada della giustizia sociale.

Noi salutiamo quindi con speranza e con fiducia la figura di donna che nasce dalla solenne affermazione costituzionale. […] Non vi può essere oggi infatti, a nostro avviso, un solo passo sulla via della democrazia, che non voglia essere solo formale ma sostanziale, non vi può essere un solo passo sulla via del progresso civile e sociale che non possa e non debba essere compiuto dalla donna insieme all’uomo, se si voglia veramente che la conquista affermata dalla Carta costituzionale divenga stabile realtà per la vita e per il migliore avvenire d’Italia.

Ma una cosa ancora noi affermiamo qui: il riconoscimento della raggiunta parità esiste per ora negli articoli della nuova Costituzione. Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane, ma non certo un punto di arrivo.  Guai se considerassimo questo un punto di arrivo, un approdo. […]

Anche ammesso, come speriamo, che il futuro ordinamento giudiziario sia ben migliore di quello vigente, noi non possiamo ammettere che alle donne, in quanto tali, rimangano chiuse porte che sono invece aperte agli uomini.

[…] Per questa ragione io torno a proporre che sia migliorata la forma del secondo comma dell’articolo 7 nel seguente modo:

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano «di fatto» – noi vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l’eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana”.

[…] Mazzini, e tutti i nostri grandi che hanno pensato ed operato per l’avvento nel nostro Paese della Repubblica, ci hanno insegnato che la pietra angolare della Repubblica, ciò che le dà vita e significato, è la sovranità popolare.

Spetta a tutti noi […] di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica per rendere effettiva e piena questa sovranità popolare. Ma, perché questo accada veramente, occorre che accanto ai cittadini sorgano, si formino, lavorino le cittadine.

Aiutateci tutti a sciogliere veramente e completamente tutti i legami che ancora avvincono le mani delle nostre donne e avrete nuove braccia, liberamente operose per la ricostruzione d’Italia, per la sicura edificazione della Repubblica italiana dei lavoratori.”

La redazione della Carta e il dibattito richiedono diciotto mesi di lavori.

Il 22 dicembre l’Assemblea Costituente approva a scrutinio segreto il testo della Costituzione con 453 voti favorevoli e 62 contrari.

Il 27 viene firmata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, dal presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini e dal presidente del consiglio Alcide De Gasperi.

La Costituzione entra in vigore il 1° gennaio 1948.

Apri il pdf della poesia “Io, donna soldato” di Luigia Bimbi

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