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Assemblea nazionale delle donne: il contributo dello Spi Cgil

A 70 anni dalla prima conferenza delle donne lavoratrici, organizzata nel 1954 dalla Cgil, si è tenuta ieri a Firenze “Una lotta senza tempo”, l’assemblea nazionale delle donne Cgil ‘Belle Ciao 2024’. Tre i panel in programma:

  1. “Conquiste fatte e da fare per prevenire e contrastare molestie e violenze”
  2. “Conquiste fatte e da fare per salute, autodeterminazione e cultura paritaria”
  3. “Conquiste fatte e da fare sul lavoro”

Ad ogni panel hanno preso parola delegate provenienti da varie categorie e regioni. Per lo Spi Cgil ha partecipato al secondo panel Miriam Enrica Rossi, segretaria dello Spi Cgil Rovigo.

Di seguito la traccia completa del suo intervento.

Noi donne dello SPI siamo quelle delle generazioni che hanno vissuto gli anni Settanta, partecipando a gruppi femministi e femminili che dibattevano i temi dell’emancipazione e della parità. Quelli sono stati gli anni delle grandissime riforme, una fra tutte la Riforma Sanitaria del 1978 con la legge 833. Con essa sorsero i servizi territoriali che dovevano affiancare l’Ospedale in una visione olistica della persona (i centri di igiene mentale, i servizi di età evolutiva, la medicina del lavoro, i Sert e i Consultori familiari).

PREVENZIONE CURA e RIABILITAZIONE, i tre pilastri organizzativi che sostenevano la sanità pubblica.
Molte professioni nacquero proprio in funzione della Riforma sanitaria (tecnici della riabilitazione, della prevenzione, psicologi, educatori, psichiatri, ecc.) orientavano il loro agire ai bisogni che il territorio esprimeva.

Motivazioni professionali molto alte, giovani operatori entusiasti di concorrere allo sviluppo di un sistema sociosanitario universalistico. Cambiava il metodo di lavoro, privilegiando il lavoro in equipe in un’ottica di integrazione. Allora si credeva fortemente alla promozione della salute specie delle donne, sostenendone i percorsi di autodeterminazione e di empowerment e il Consultorio diventava il luogo privilegiato dove poterne disporre. L’Ospedale agiva e agisce sull’urgenza, mentre il Consultorio doveva e dovrebbe ancora ora agire sulla prevenzione, attraverso il metodo dell’ascolto e del dialogo con le persone.

Anche nel Veneto si sono vissuti quegli anni in chiave pioneristica, tutto era da costruire. Da noi le ASL assunsero il nome di ULSS per sottolineare fortemente il tema dell’integrazione sociosanitaria.

A distanza di 40 anni, noi ragazze degli anni 70 ci ritroviamo demoralizzate, le nostre battaglie un ricordo lontano. C’è anche una nostra responsabilità: quella di non esserci accorte per tempo che le condizioni sociali cambiavano, che i bisogni erano sempre più quelli individuali e si perdeva il senso del collettivo ed è venuta meno anche quella passione che animava gli operatori di allora. Ciò che ha minato alla base la peculiarità dei servizi territoriali e soprattutto dei consultori è in primis l’assenza di integrazione con l’unità operativa ospedaliera, il sottofinanziamento, il blocco del turn over con organici ridotti all’osso e soprattutto, da parte delle istituzioni, la mancanza di trasparenza e di ascolto delle necessità della popolazione.
Problemi mai affrontati che restituiscono un’immagine preoccupante sulla situazione dei consultori pubblici familiari in Italia.

Dal 2007 a causa dei tagli all’welfare sono stati chiusi circa 300 consultori familiari, passati da 2097 ai 1800 del 2019, data dell’ultimo censimento ufficiale. La legge che prevede 1 consultorio ogni 20000 abitanti è continuamente disattesa. I consultori sono sempre troppo pochi rispetto ai bisogni della popolazione come riporta lo stesso Istituto Superiore di Sanità.

Attualmente nella nostra regione operano 88 équipe in 24 sedi principali. Molte sedi sono state accorpate o restano aperte poche ore alla settimana. Ci dovrebbe essere una equipe completa ogni 20.000 abitanti (popolazione 14-65 anni) e invece siamo in media una ogni 35.000 mila, praticamente 60% in meno.

L’attacco subdolo alla legge 194 ci fa tornare indietro di 50 anni e i medici e professionisti sanitari obiettori sono sempre di più (in Veneto ad es. il 67,6%).

E allora ben vengano le manifestazioni, i flash mob, le prese di posizione forti contro questo attacco.
Ogni giorno vediamo che la sanità pubblica sta perdendo la sua mission prioritaria, cioè quella di tutelare la salute di ogni persona in quanto bene primario ed elemento importante di coesione sociale, Per questo è necessario rafforzare la sanità e la medicina del territorio per non mettere a rischio la salute dei cittadini. Bisogna dare più fondi alla sanità pubblica e meno agli armamenti.

Nelle persone anziane è inevitabile l’aumento del bisogno di sanità che si può sintetizzare nel bisogno di cura e nel bisogno di assistenza due condizioni che si possono riscontrare e che incidono nell’economia familiare. Sul bilancio familiare la spesa sanitaria influisce in modo determinante e il non riconoscere la specificità dei bisogni di salute, potenziando consultori, medicina territoriale è alla base dell’inadeguatezza delle risposte istituzionali. Sempre più evidente è la discrepanza tra chi può permettersi di affrontare le cure e chi per reddito o condizione sociale deve obbligatoriamente rinunciare a farlo.

Dobbiamo alzare la guardia, dobbiamo difendere i servizi e pretendere con forza che abbiano il giusto riconoscimento e le risorse adeguate. Bisogna assumere medici, psicologi, educatori, assistenti sociali, ostetriche per un vero rilancio del Consultori e soprattutto far conoscere questo servizio alle donne delle giovani generazioni. alle donne immigrate, agli studenti/studentesse, perché siano loro a presiederlo e pretendere risposte adeguate ai loro bisogni.

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