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Terzo Settore: la “quinta colonna” del Sistema Sanitario Nazionale

Si è da poco conclusa la 24^ Giornata della Donazione del Farmaco (6-12 febbraio) promossa dalla Fondazione Banco Farmaceutico, a cui hanno aderito, anche a Verona, 167 farmacie pubbliche e private. Complice i cicli economici sempre più duri e la parallela crescita delle diseguaglianze, lungi dall’essere una realtà di testimonianza, il ruolo del terzo settore è diventato via via sempre più centrale all’interno del nostro travagliato sistema sanitario nazionale e dello scalcagnato sistema sociale di protezione.
Secondo l’ultimo Censimento delle Istituzioni non profit, citato nell’11° Rapporto sulla Povertà Sanitaria curato da Banco Farmaceutico e Agenzia del Farmaco Aifa, sono 12.578 le organizzazioni non profit che operano prevalentemente nel settore sanitario, con un totale di ben 103.215 occupati. Tenendo conto che 5.587 di queste finanziano le proprie attività per lo più da fonti pubbliche, si può dire che il non profit rappresenta circa 1/5 del totale delle strutture sanitarie italiane (oltre 27.000), generando un valore pari a 4,7 miliardi di euro. Quasi la metà delle organizzazioni si trovano nelle regioni del Nord Italia.
Nel corso del 2023 le persone in difficoltà assistite dalla Rete Banco Farmaceutico hanno raggiunto quota 427.177, con un notevole aumento (+10,6%) rispetto al 2022 e un riavvicinamento ai valori registrati nel triennio 2019-2021. Il 18,3% degli assistiti è una persona over 65; il 20,8% un minore tra i zero e 17 anni. Poco meno della metà (47.5%) sono italiani, il resto persone di cittadinanza straniera.
“La percentuale di chi è in cattive o pessime condizioni di salute è più alta tra chi si trova in condizioni economiche precarie rispetto al resto della popolazione (6,2% contro 4,3% nel 2021)” viene sottolineato nel rapporto. “La qualità della vita legata a gravi problemi di salute, inoltre, è peggiore per chi ha meno risorse rispetto a chi ha un reddito medio-alto (25,2% contro 21,7%). Di per sé le risorse economiche non preservano da gravi patologie (specie all’aumentare dell’età), ma consentono di fronteggiarne meglio le conseguenze. A compromettere lo stato di salute di chi è economicamente vulnerabile, contribuisce la rinuncia a effettuare visite specialistiche, che è cinque volte superiore al resto della popolazione” si conclude.

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