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Oltre l’Unione. Alcuni spunti di riflessione in merito all’ipotesi di fusione dei Comuni veneti

di Anna Rita Contessotto, Emilio Tanzi – ricercatori IRES Veneto

Il dibattito che da un anno a questa parte si è acceso attorno al tema della riorganizzazione territoriale tocca questioni di fattibilità politica, organizzativa ed economica in un contesto di crisi che ha ridotto enormemente la disponibilità delle casse comunali. Termini come “unioni” o “fusioni” si fanno sempre più frequenti nel dibattito politico ed è per questo motivo che IRES Veneto – con la Camera del Lavoro, lo SPI e la Funzione Pubblica di Treviso – ha avviato un percorso esplorativo del fenomeno nel contesto regionale. La prima fase del lavoro di ricerca – che si è focalizzato sulle Unioni – si è conclusa e nel presente contributo si riportano alcuni dei risultati emersi dall’indagine.

In primo luogo è importante rimarcare come le Unioni venete sono rimaste un fenomeno limitato, che non è riuscito ad attrarre attorno a sé il consenso di un significativo numero di amministrazioni locali. Solo il 17% dei Comuni veneti è parte di un’Unione (contro la media nazionale del 23%), coinvolgendo solo il 10% della popolazione regionale (contro la media nazionale del 13%).

Un secondo aspetto che emerge riguarda la fragilità caratterizzante il fenomeno e il pericolo che lo stesso rischi di risultare poco incisivo nel conseguimento di quegli obiettivi di efficienza ed efficacia che stanno alla base del suo esistere:

  • nell’arco di quattro anni – dalla fine del 2008 alla fine del 2012 – ben otto Unioni si sono sciolte, ossia il 25% delle trent’uno attive all’inizio del periodo considerato;
  • diciassette delle ventisette Unioni attive a inizio 2013 (il 63% del totale) sono costituite da un ridotto numero di Comuni (due o tre);
  • dieci Unioni (il 37% del totale) hanno un popolazione inferiore ai 10.000 abitanti, ossia inferiore al livello che il legislatore nazionale indica come dimensione minima ottimale.

Alla luce di queste considerazioni – che si uniscono a calcoli di convenienza economica, legati ai cospicui finanziamenti riconosciuti a livello nazionale e regionale – alcune realtà comunali venete (una cinquantina circa) stanno ragionando sull’opportunità o meno d’intraprendere un percorso di fusione, ossia di dar vita a un nuovo Comune attraverso lo scioglimento volontario delle proprie Amministrazioni Comunali.

Ma quali potrebbero essere alcuni dei vantaggi derivanti dalla nascita di un Comune unico rispetto al modello dell’Unione?

  • Attraverso la fusione si arginerebbero quelle inefficienze decisionali che l’Unione tende a manifestare essendo un ente associativo di secondo livello. Infatti, i processi decisionali interni all’Unione a volte possono risultare eccessivamente macchinosi e – in alcuni casi – raggiungere addirittura la paralisi per l’emergere di disomogeneità politiche interne ai propri organi di governo.
  • La costituzione del Comune unico consentirebbe di raggiungere una dimensione produttiva tale da avviare un processo di specializzazione delle risorse umane, percorso pressoché impossibile nei Comuni di più piccole dimensione, in cui tutti devono fare tutto.
  • La costituzione del Comune unico determinerebbe un taglio dei c.d. “costi della politica”. Sebbene questi risparmi non saranno economicamente significativi, la scelta va sicuramente incontro alle attuali attese che l’opinione pubblica esprime.

Nello stesso momento è però necessario evidenziare sin da ora alcuni degli aspetti che si dovranno presidiare con cautela affinché questo percorso istituzionale possa giungere a buon fine:

  • Ogni intervento di riorganizzazione delle macchina amministrativa comporterà un cambiamento nei rapporti di potere interni e una ridefinizione delle modalità lavorative. E’ quindi prevedibile che vi verificheranno delle resistenze, le quali potranno essere affrontate e gestite solo attraverso un lungo e paziente lavoro di negoziazione e preparazione, che dovrà partire già nella fase di elaborazione dello studio di fattibilità della fusione e non “a giochi fatti”.
  • Specularmente, ogni cambiamento interno alla macchina comunale avrà delle ripercussioni sulla vita degli abitanti del Comune unico. Anche in questo caso è indispensabile fare in modo che il coinvolgimento della c.d. “società civile” non avvenga solo nella fasi conclusive del processo di fusione, ma che il punto di vista dei vari portatori d’interesse (singoli cittadini, imprese, sindacati, organizzazioni di volontariato, etc.) sia parte integrante dello studio di fattibilità.

E’ solo adottando un approccio veramente partecipativo e di co-costruzione dell’identità del nuovo Comune, che si potrà dare all’idea di fusione qualche change per superare la visione localistica che in questi anni ha fortemente caratterizzato le politiche locali dei Comuni veneti.

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