di Palma Sergio – FP Cgil Veneto
Quando si sceglie di tagliare le risorse allo stato sociale e togliere ossigeno all’erogazione dei servizi socio-sanitari-assistenziali, non lo si fa per caso e nulla è mai stato fatto a caso nel nostro Paese in questi ultimi vent’anni; neppure in questa Regione dove oggi stiamo assistendo non soltanto alla crisi occupazionale del settore socio-sanitario assistenziale privato accreditato (erogatore di prestazioni pubbliche) ma anche alla diminuzione dei servizi ai cittadini, ai quali non corrisponde un aumento od un trasferimento degli stessi alle strutture pubbliche.
Il risultato è uno solo ed indiscutibile e cioè la riduzione dei Servizi e delle prestazioni, e quando Servizi e prestazioni pubbliche (anche quelle delle strutture accreditate) vengono a mancare,due sono le strade alternative: 1) rivolgersi al privato per chi può pagare, 2) rinunciare od arrangiarsi per chi non può pagare.
Poi, se le prestazioni fino ad oggi erogate sono state o sono appropriate è un altro di quegli argomenti che andrebbero, da questa Regione, esaminati approfonditamente per dare ai cittadini, non solo i servizi necessari ma anche le prestazioni in base ai bisogni emersi ed emergenti.
Il problema è che quando il sistema spinge verso il privato è quello il momento in cui si concretizza l’inappropriatezza delle prestazioni ed è quello che è successo in questi anni in Regione Veneto creando un sistema che oggi vedendosi ridimensionato fa pagare il caro prezzo ai lavoratori.
Tra gli esempi più eclatanti (nel settore della Sanità Privata accreditata – finanziata da soldi pubblici-)del Policlinico San Marco di Mestre con 54 esuberi e di fatto di questi già 24 licenziati.
(Riduzione di circa 1000 degenze nell’area medica, chirurgica e riabilitativa).
Se poi guardiamo al terzo settore anche qui non va meglio, diminuiscono le ore di assistenza domiciliare date in appalto dal Comune di Venezia, con la messa in mobilità di circa 80 lavoratori, per i quali,al momento, è in atto i contratto di solidarietà (restano comunque per l’utenza meno ore
di domiciliarità).
E’ ridotto il numero di ingressi dei disabili nei Centri Diurni ed anche qui esuberi di personale (educatori, operatori socio sanitari).
L’ULSS 16 di Padova chiude due CEOD pubblici e dirotta altrove i disabili.
Sul versante Case di Risposo aumentano i posti letto vuoti (difficoltà per gli ospiti e/o le famiglie a pagare la retta alberghiera), pur in presenza dell’aumento del bisogno di assistenza agli anziani e senza alcun ulteriore investimento nel territorio o nella domiciliarità.
Quando c’è crisi, si dovrebbe maggiormente investire, nel settore sociosanitario (soprattutto nella prevenzione e nella protezione sociale per un rinnovato sistema di servizi alla persona ed un welfare inclusivo e solidale) si creerebbero sicuramente opportunità occupazionali; invece, oltre a dare meno tutele alle fasce più deboli della popolazione, stiamo assistendo alla perdita di posti di lavoro ed all’incapacità di accompagnare fuori dalla crisi le fasce sociali più deboli le cui fila stanno aumentando.