L’opinione di tre sindaci alle prese con la crisi, la quadratura dei bilanci, la necessità di razionalizzare spese e servizi.
Interviste a Marco Serena (sindaco di Villorba), Giancarlo Piva (sindaco di Este) e Silvano Checchin (Sindaco di Spinea)
Marco SERENA
D: E’ solo l’emergenza economica che spinge i comuni ad unirsi?
R: È indubbio che la situazione finanziaria dei Comuni costringa gli amministratori a riconsiderare il concetto di “piccolo è bello”. Nel caso di Villorba e Povegliano, tuttavia, va sviluppato un ragionamento diverso: i nostri enti da ormai dieci anni collaborano nella gestione dei servizi agli anziani; da diverso tempo gestiscono unitariamente la polizia locale, l’ufficio tecnico e quello dei lavori pubblici; da circa due anni si sono dotati di identici sistemi informatici per il controllo del territorio; da tempo i dipendenti dei due Municipi collaborano scambiandosi esperienze ed informazioni.
Questo senza creare imbarazzi o disservizi ai nostri cittadini/utenti.
Forti di questa esperienza, le amministrazioni – pur essendo espressione di schieramenti politici diversi – hanno dato avvio al processo di fusione dei due enti, per giungere ad un nuovo comune unico.
Ancora, va precisato che i due Comuni non sono tenuti a stringere accordi o convenzioni: il risultato, qualora il referendum consultivo abbia esito positivo, darà luogo al processo di aggregazione più importante (dal punto di vista demografico) avvenuto dal dopoguerra ad oggi. Il nuovo comune conterà, infatti, oltre 23.000 abitanti, rispondendo appieno a tutte le valutazioni di efficienza dimensionale secondo quanto indicato recentemente dai diversi studi in materia, sia dalle associazioni dei comuni che da quelle sindacali.
D: Che tipo di facilitazioni si aspettano gli amministratori?
I vantaggi in termini di servizi più specializzati ed efficienti, nonché dal punto di vista delle economie di scala, non tarderanno a farsi apprezzare dai nostri cittadini ed utenti.
L’unica incognita è legata al rispetto dei patti da parte dello Stato: con la fusione degli enti sono legislativamente previsti due “premi”: il primo, di durata decennale, che di fatto consente di cancellare i tagli alla spesa corrente subiti negli ultimi due anni; l’altro, consente di liberarsi dai vincoli e lacciuoli del “patto di stabilità” per i prossimi tre. Ecco, direi che in questa fase c’è bisogno che lo Stato dimostri di esserci, tenendo fede alle leggi vigenti.
Certo che se a livello centrale o quantomeno regionale si procedesse a ridisegnare la geografia del Paese, tutto sarebbe più semplice…
Ad ogni modo, dato che ormai è chiaro che a Roma nulla cambia, attrezziamoci dal basso dando l’esempio!
D: C’è il rischio di perdita di identità delle singole comunità?
Questa domanda mi fa sorridere. Oggi, nell’era di internet e della “privacy leggera”, possiamo veramente continuare a pensare che il nome del Comune in cui viviamo ci garantisca “identità”?
Ritengo che l’identità di una comunità sia data da altro: da una storia comune, da un modo di vivere comune, da un territorio omogeneo, da un sistema di riferimenti fisici e culturali condiviso; da un intreccio di relazioni.
Oggi si discute ancora di abolizione per legge delle province. Al di là del fatto che non credo che questo Stato abbia la forza di procedere all’abolizione di enti amministrativi di secondo livello, crediamo veramente che i trevigiani non si riconosceranno più nella specificità della Marca Gioiosa, solo perché un burocrate cancella alcune tabelle stradali? O che da domattina i Veneti non subiscano più l’influenza di Venezia?
In ogni caso, voglio tranquillizzare anche i più restii: non si cancelleranno le frazioni comunali e le località geografiche; e in ossequio alla legge regionale, le comunità di origine avranno organi rappresentativi “municipali” eletti direttamente, per portare anche l’ultima voce ed istanza al nuovo Sindaco ed al nuovo Consiglio comunale. Ovviamente senza spese aggiuntive, in quanto questi incarichi saranno a titolo gratuito.
Giancarlo PIVA
D: E’ solo l’emergenza economica che spinge i comuni ad unirsi?
Non credo che sia solo l’emergenza economica che spinge a valutare l’ipotesi di fusione tra comuni. Credo che la spinta sia la consapevolezza e la responsabilità di gestire il cambiamento che non deve travolgerci, ma che, da avveduti amministratori, dobbiamo saper guidare. La dimensione dei comuni è direttamente connessa alla tanto declamata necessità di riforma degli enti locali: se infatti, come io credo, le province non hanno più ragione di esistere e rappresentano solo una fonte di maggiore spesa pubblica e di duplicazione di livelli decisionali che contribuiscono tra l’altro ad alimentare una eccessiva burocratizzazione, dobbiamo contemporaneamente essere in grado di organizzare i comuni con una dimensione che sappia rapportarsi direttamente con l’ente regionale sovraordinato e con lo stato.
Oltretutto le politiche europee che stanno avanzando sottolineano sempre più la necessità di progettazione di area vasta che solo una dimensione adeguata degli enti locali può garantire.
Se noi amministratori non abbiamo queste capacità di lettura delle opportunità future per i nostri comuni ci prendiamo una responsabilità che oggi magari non ci appare così rilevante, ma che domani ci potrebbe essere imputata per l’incapacità delle nostre comunità di attrarre risorse. E dobbiamo ricordarci che l’attrazione di risorse nelle nostre comunità si traduce in opportunità di sviluppo e quindi in lavoro per i nostri giovani.
D: Che tipo di facilitazioni si aspettano gli amministratori?
Abbiamo bisogno di soggetti in grado di dialogare con i cittadini, suscitando interesse su questi argomenti, aprendo discussioni e dibattiti. In un momento in cui purtroppo si sta evidenziando da parte dei cittadini una forte disaffezione alla politica (ben evidenziata dal pesante astensionismo in occasione di recenti tornate elettorali), tutti i soggetti e le associazioni che abbiano a cuore il futuro dei propri associati dovrebbero porsi il problema di far crescere la riflessione, la discussione e l’auspicabile consenso su questi temi. Questo significherebbe realizzare una politica e un’azione preventiva rispetto ai comportamenti di protesta che si potrebbero innescare un domani quando i servizi ai cittadini (anche quelli che oggi chiamiamo essenziali!) vengono meno o si riducono perché le ridotte dimensioni degli enti locali non consentono più di sostenerli.
D: C’è il rischio di perdita di identità delle singole comunità?
Credo che le località che danno vita al nuovo comune siano in grado e anzi debbano mantenere la propria identità e le proprie tradizioni e che le nuove dimensioni e la semplificazione amministrativa che ne deriva non sia affatto l’elemento che la nega o le sopprima. Se penso alla realtà del mio comune dove ci sono quartieri e frazioni ben delineati e organizzati, constato che ciascuna di queste località ha da sempre una propria identità che, molto spesso nelle nostre realtà territoriali sono anche connesse all’esistenza di comunità parrocchiali di antica tradizione. Queste realtà pur appartenendo ad uno stesso comune non sono mai state messe in discussione anzi, l’una ha contribuito ad arricchire l’altra.
Silvano CHECCHIN
Credo sia giusto sottolineare il fatto che l’emergenza economica per i nostri Comuni rappresenta qualcosa che si fa fatica a comprendere nella sua gravità. Mentre un’attività economica può trovare soluzione alla crisi, con un’estrema semplificazione , o rimanendo sul mercato o chiudendo l’attività per i Comuni non è così. Con questa crisi noi abbiamo meno risorse a fronte di bisogni che aumentano quotidianamente. E sono bisogni che non possiamo “governare” ci sono e basta. Contemporaneamente i Comuni sono costretti con continue modifiche legislative a riorganizzarsi con sistemi sempre più complicati e sofisticati (controlli strategici,nuova contabilità,trasparenza,performance etc.etc. ) che sono possibili solo in comuni di grandi dimensioni non essendo i nostri Comuni dotati delle figure professionali necessarie. In questo contesto mettere assieme le risorse per rispondere alla crisi ed alle nuove esigenze organizzative diventa un passaggio obbligato. Il tentativo che stanno facendo i Sindaci del Miranese e del Mirese è sicuramente interessante potendo riguardare una Unione dei Comuni superiore ai 100000 abitanti. Un test fondamentale se i nuovi ambiti gestionali con la soppressione delle Province potranno veramente rappresentare un miglioramento per i servizi dati ai cittadini e per mantenere anche le singole peculiarità territoriali.