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In Veneto 665 mila persone a rischio povertà

Rispetto al periodo pre-covid, i veneti a rischio povertà sono 243mila in più (+57%). Il problema coinvolge, in Italia, il 26% degli anziani soli e il 18,7% di quelli in coppia.

Di Gregorio (Spi Cgil): «Situazione preoccupante, per i pensionati chiediamo l’allargamento della 14esima e un sistema di rivalutazione che tuteli adeguatamente il loro potere d’acquisto».

Anche nel Veneto, locomotiva del ricco Nord-est, c’è una parola che comincia a fare davvero paura, perché è in continuo aumento e coinvolge fasce sempre più diversificate di popolazione: la povertà. Il rischio di non riuscire a vivere in modo dignitoso, per problemi economici, o addirittura di non poter accedere a servizi essenziali, come le cure e le visite mediche a pagamento, si fa sempre più serio pure nella nostra regione, come si evince chiaramente dai dati dell’Istat diffusi lunedì.

Nel Veneto (anno 2021) le persone a rischio povertà sono più di 665 mila, il 13,7% del totale. Un balzo notevole rispetto al 2020, quando se ne registravano circa 500 mila (il 10,3%), e ancor più del 2019 (422 mila, l’8,7%). In pratica, nel 2021 sono a rischio povertà 243 mila persone in più del periodo pre-pandemia (+57%).

Se consideriamo, poi, sia il rischio di povertà che quello di esclusione sociale – relativo ai soggetti che non hanno accesso o presentano difficoltà d’accesso al mondo lavorativo, formativo, culturale o politico della società in cui vivono – i numeri sono ancora più emblematici. Stiamo parlando di quasi 820 mila e 500 individui nel 2021 (16,9% del totale) contro i 685 mila del 2020 (14,1%) e i circa 540 mila del 2019 (11,1%).

La crisi provocata dalla pandemia a livello di reddito ha colpito in misura minore gli anziani, anche se la percentuale di over 65 a rischio povertà o esclusione sociale è molto alta. Il pericolo riguarda a livello nazionale il 26,1% fra gli ultra65enni soli e il 18,7% degli anziani in coppia.

D’altra parte – come ricorda da tempo lo Spi Cgil del Veneto -, nella nostra regione il 52% dei pensionati vive con meno di 1.500 euro lordi al mese, che corrispondono a circa 1.200 euro netti. Ma circa 362 mila anziani, il 28,3% del totale, riceve assegni inferiori ai mille euro lordi mensili, meno di 800 euro mensili. Fra questi ultimi, il 71% è composto da donne. Nel 2022 in Veneto le pensioni integrate al minimo, quelle cioè che non arrivano 524,32 euro mensili, sono circa 188 mila, quelle con “maggiorazione sociale” – prestazioni riservate a over 60 economicamente disagiati – sono quasi 107 mila e 500. Insomma, per i “nostri” pensionati c’è poco da stare allegri.

«I dati diffusi dall’Istat e relativi al 2021 ci preoccupano molto – sottolinea Elena Di Gregorio, segretaria generale dello Spi Cgil del Veneto -. Tanto più perché si riferiscono all’anno post Covid, periodo molto difficile nel quale, però, i pensionati hanno sufficientemente mantenuto il proprio potere d’acquisto. Tra l’altro il Veneto nel 2021 pare soffrire di più del resto d’Italia dove le percentuali di popolazione a rischio povertà sono decisamente più alte, visto che riguardano in media il 25% degli individui, ma dove l’incidenza rispetto al 2019 è rimasta pressoché invariata, al contrario di ciò che si registra nella nostra regione. Pensiamo cosa sta succedendo ora con i prezzi alle stelle e in particolare con il caro-energia e con l’inflazione a due cifre sul carrello della spesa. Temiamo che i numeri dell’Istat per il 2022 saranno davvero drammatici».

Ma cosa fare per combattere povertà ed esclusione sociale? «La risposta – prosegue Di Gregorio – si trova nella qualità del lavoro, nell’estensione e nel rafforzamento degli ammortizzatori sociali, nei percorsi formativi di reinserimento nel sistema produttivo, nelle politiche attive. Per quanto riguarda i pensionati, le nostre proposte sono note da tempo. Chiediamo l’incremento della 14esima mensilità e l’allargamento agli assegni previdenziali fino a tre volte il minimo, circa 1.500 euro lordi mensili. Fondamentale poi il tema della rivalutazione, tanto più oggi con l’inflazione che erode giorno dopo giorno il potere d’acquisto delle famiglie e dei pensionati. Dobbiamo riaffermare la necessità di un meccanismo di calcolo di rivalutazione della pensione più adeguato al reale costo della vita, chiudendo con una politica che fa uso delle risorse delle pensioni, attraverso i continui blocchi sulla rivalutazione, per fare cassa».

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