Si dice che in politica 2+2 non faccia necessariamente 4. Ciò è vero soprattutto per le alleanze tra due o più partiti, le quali possono risultare più meno gradite ai rispettivi elettorati così da premiare o punire la scelta di condividere programmi e obiettivi.
C’è però un aspetto della politica dove la matematica dovrebbe garantire la propria utilità, in quanto si limita a misurare delle differenze. Parliamo delle analisi dei flussi elettorali, che nel caso delle elezioni politiche del Settembre scorso non sembrano giustificare lo tsunami che ha travolto la politica italiana: Pd a pezzi; Movimento 5 Stelle al settimo cielo che si candida alla testa del campo progressista; centrodestra (o meglio, destra-centro) nuovo “padrone” del Paese.
I numeri raccontano infatti una storia molto diversa: la maggioranza conquistata da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia è sì netta, ma non soverchiante. Hanno fatto man bassa nei collegi uninominali dove il centrosinistra si è presentato diviso, senza nemmeno riuscire a far valere il peso che mantiene nelle grandi città.
E se guardiamo ai flussi elettorali, proprio il Pd è il partito che, paradossalmente, ha tenuto meglio. Secondo l’Istituto Cattaneo, “La percentuale di voti conquistata dal Pd nel 2022 è molto simile a quella del 2018”. Il suo elettorato appare “abbastanza stabile. Il grosso di coloro che hanno votato i Dem nel 2022 lo aveva fatto anche nel 2018 e nel 2019. Tra i flussi in uscita il più rilevante è quello Azione, tra il 10 e il 20% degli elettori democratici. Mentre tra i flussi in entrata, si segnalano recuperi di qualche rilievo dal M5s”.
Proprio il Movimento Cinque Stelle, invece, “è il partito che ha subito il tracollo maggiore, perdendo poco più di 6 milioni di voti per strada rispetto alle politiche, ossia il 59,2% dei consensi del M5s nel 2018. Le perdite rispetto ai consensi ottenuti nel 2018 sono state addirittura del 70,3% nelle regioni settentrionali, dove il M5s ha perso per strada poco più di 2 milioni di elettori”.
Secondo l’Istituto, i voti 5 Stelle si dirigono verso l’astensionismo in primo luogo; verso il centrodestra in seconda battuta, ma anche verso il Pd, seppure in misura molto modesta: “il M5S attinge sostanzialmente a due soli bacini: quello dei suoi elettori più fedeli e quello degli astensionisti. Non gode insomma di ingressi significativi da sinistra”.
Fratelli d’Italia fa segnare un grande exploit, ma “cannibalizzando” la Lega, la cui performance “è stata molto simile a quella del M5s: il partito di Salvini ha perso per strada 3.183.653 elettori, pari al 57,1% del suo elettorato nel 2018”. L’elettorato di FdI “è formato per più dell’80% da elettori che alle europee avevano scelto già centrodestra: la parte restante si divide in misura variabile tra recuperi dall’astensione e passaggi dall’elettorato di centrosinistra”.
Ricapitolando: “Questi dati sembrano dunque mettere in luce che la mobilità elettorale tra il 2018 e il 2022 ha attraversato due fasi abbastanza diverse.
Nella prima (tra il 2018 e il 2019) vi è stato un significativo travaso di voti dal centrosinistra (in particolare dal M5s) al centrodestra (di cui ha inizialmente beneficiato la Lega). Nella seconda (dal 2019 a oggi) gli schieramenti sono rimasti stabili mentre sono avvenuti importanti spostamenti di voti al loro interno: in particolare, il centrodestra ha visto Fdi ‘cannibalizzare’ l’elettorato dei partner di coalizione, e in particolare quello – nel 2019 molto ampio – della Lega”.
Il motivo per cui nell’ambito del centrosinistra non si riesca ad intavolare una discussione su dati oggettivi rivolta a capire (e risolvere) le vere cause della sua debolezza elettorale, rappresenta un altro dei misteri della cosiddetta “crisi della sinistra”.