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Divario tra territorio e ospedale: le misure dell’Ires Cgil Veneto

Penuria di medici di famiglia; assistenza domiciliare che copre solo un terzo del fabbisogno; posti letto insufficienti. Ecco i dati del primo aggiornamento del 2021 della ricerca “Integrazione dei Servizi Socio-Sanitari nella Regione Veneto” dell’Ires Cgil Veneto. I Sindacati: “Il rilancio post-Covid deve partire da questi numeri”.

Alla fine del 2019 nel territorio dell’Ulss 9 Scaligera si possono stimare 27.061 anziani NON autosufficienti e NON ricoverati in Rsa, la stragrande maggioranza dei quali – 21.239 soggetti – presenta un indice di intensità assistenziale (CIA) superiore al livello minimo di 1. Ebbene, il servizio di assistenza domiciliare integrata riesce a prenderne in carico soltanto 7.736 pari al 36,45% del fabbisogno, una percentuale che è la più bassa di tutto il Veneto dopo il 34,59% della Ulss 8 Berica, a fronte di una media regionale del 45,87%.

Questi pochi dati sarebbero già sufficienti a dare un’idea del lungo cammino che il sistema sociosanitario veronese e veneto devono compiere per fornire una risposta adeguata all’invecchiamento della popolazione, un fenomeno che il Covid ha tragicamente frenato con la sua scia di morti, ma non ha arrestato.

Basterebbe questo, ma l’aggiornamento della “terza direttrice” della Ricerca sull’Integrazione dei servizi sociosanitari della Regione Veneta che l’Ires Cgil Veneto ha chiuso alla fine Febbraio 2021 sulla base dei dati ufficiali di Ministero della Salute, Mise, Eurispes e Regione Veneto consolidati nel corso del 2020, fornisce una panoramica ben più ampia, restituendo una misura molto precisa e dettagliata di quello che chiamiamo il divario tra il territorio e l’ospedale.

Con riguardo ai medici di base, la ricerca osserva che il rapporto tra “assistibili” e medici in servizio nel territorio dell’Ulss 9 Scaligera è cresciuto dai 1.208 pazienti/medico del 2011 ai 1.406 pazienti/medico del 2019 con un incremento del 16,38% più alto di quasi un punto e mezzo della media regionale (+14,96%). Prendendo come riferimento l’Accordo Collettivo Nazionale di Medicina Generale del 2009, il quale indica in “1.000 assistiti per medico con una variabilità del 30%” il rapporto ottimale per l’assistenza primaria, questo significa che sul territorio veronese mancano almeno 40 medici di medicina generale.

La questione delle cure primarie non si esaurisce tuttavia nel numero di medici: le forme associative tra medici di base si sono diffuse solo in misura minima rispetto agli obiettivi della Legge regionale n. 19 del 2016: attualmente, a livello regionale, solamente il 21,1% dei medici di medicina generale è inserito all’interno delle medicine di gruppo integrate (l’unica forma associativa veramente innovativa ed efficace), a fronte di una previsione di legge che voleva coinvolgere il 60% dei medici entro la fine del 2018. A Verona siamo ancora più indietro, con un percentuale di medici coinvolti ferma al 14,5%.

La penuria di personale e risorse nel campo delle cure primarie si riflette nel ben noto fenomeno del sovraccarico sugli ospedali: il 42% degli accessi ai pronto soccorso degli ospedali registrati nel 2019 (tenendo conto soltanto dei giorni feriali) è avvenuto in codice bianco o verde. Il dato veronese, secondo solo al 42,18% dell’Ulss 5 Polesana, è in crescita dell’1% rispetto al 2018 e marca la grande e grave distanza esistente tra l’offerta delle attività programmate sul territorio e i reali bisogni di cura della popolazione.

L’ingolfamento degli ospedali, che dovrebbero dedicarsi soltanto alle acuzie, si amplifica anche in “uscita” a causa della penuria di posti letto nelle cosiddette “strutture intermedie” che sarebbero chiamate ad accompagnare i pazienti e le famiglie nelle fasi post-acuzie.

Rispetto ai 119 posti letto effettivi, consolidati nel corso del 2019, e a seconda dei criteri adottati per calcolare il fabbisogno reale, nel territorio dell’Ulss 9 risultano mancare dai 173 ai 252 posti letto, con un indice di copertura del fabbisogno che nel migliore dei casi non supera il 40%.

Una nota a parte meritano le strutture residenziali per anziani. Le case di riposo necessitano di una riforma radicale e profonda di cui solo negli ultimi mesi si è cominciato a discutere. Attualmente svolgono la funzione di cronicari e sono inadatte ad assicurare ai pazienti le risorse riabilitative di cui avrebbero bisogno per tornare a condurre una vita il più possibile autonoma. Ma anche volendo restare sul terreno dell’organizzazione vigente, la ricerca Ires calcola che i 5.564 posti letto disponibili al 2019 coprono meno del 60% del fabbisogno.

Conclude Adriano Filice, Segretario Generale dello Spi Cgil Verona: “Come Sindacato dei pensionati non possiamo che tornare a ribadire con forza che è con questi numeri che la sanità veronese e veneta deve confrontarsi. Aumentare la qualità dell’offerta dell’assistenza sul territorio e arrivare ad una buona riforma delle Ipab significa dare una chance di autonomia e di qualità della vita a decine di migliaia di anziani veronesi e alle loro famiglie che quasi sempre si sentono abbandonate difronte ai problemi dell’età”.

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