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Allarme CGIL, FP e SPI: in Veneto più di 328.000 anziani non autosufficienti

Intanto nelle Rsa aumentano fino a 2.160 euro all’anno le rette, manca il personale, e chi ci lavora è mal pagato e con carichi insostenibili

In Veneto, secondo la relazione sociosanitaria della Regione, il 24% della popolazione ha più di 65 anni (e l’8% ne ha più di 80), con una crescita del 14,5% rispetto al 2013 (appena dieci anni fa), quando rappresentavano un quinto dei residenti. Secondo una rilevazione del 2019 dell’Università Bocconi, allora i nostri anziani non autosufficienti erano 180.000. Nel 2022 – sulla base dei dati forniti dalla stessa Regione – sono circa 328.000, dunque in spaventosa crescita, al netto dei diversi criteri di calcolo utilizzati dai due enti. E proprio sulle Rsa si concentrano le maggiori preoccupazioni. Prima il Covid, che ha fatto crescere i costi fra il 15 e il 30%, poi l’inflazione, che ha inciso soprattutto sulle bollette, più che raddoppiate, hanno fatto impennare le rette. Dai dati di cui dispone il sindacato risulta che, da gennaio 2023 la rata delle case di riposo è cresciuta da un minimo di 3 euro al giorno (90 euro al mese, 1.080 euro all’anno) a un massimo di 6 euro (180 euro al mese, 2.160 euro all’ anno), con un aumento medio del 6,5%. Costi evidentemente insostenibili se non si mette mano alle impegnative di residenzialità, aumentandole sia in termini numerici che di valore economico. 

Insomma, quella che ormai viene definita ‘la pandemia del nuovo millennio’ rischia di diventare un dramma sociale, se non lo si affronta con la giusta programmazione e i mezzi adeguati.

Parte da qui il grido d’allarme di Cgil, Funzione pubblica e Spi, che riecheggerà anche alla manifestazione “La via maestra”, che si terrà in piazza san Giovanni a Roma il prossimo 7 ottobre.

I numeri che abbiamo messo in fila – avverte Ugo Agiollo, della segreteria dello Spi del Veneto – parlano più di qualunque opinione e sono molto preoccupanti. Gli anziani che non sono più in grado di badare autonomamente a loro stessi sono in costante crescita, in linea con l’incremento numerico delle persone anziane. Mancano investimenti sulle case di riposo e, in generale, sui centri servizi, che già oggi hanno costi altissimi per le famiglie e che stanno ulteriormente aumentando. A questo vanno aggiunte le notizie molto preoccupanti che, negli ultimi giorni, stanno arrivando da alcune Ulss, le quali segnalano di aver terminato le impegnative di residenzialità. Cosa significa? Che molti ospiti delle case di riposo dovranno pagare la retta intera, con esborsi insostenibili fino a 3.000 euro al mese. La Regione deve dare risposte concrete su questo punto, prima che sia troppo tardi”. 

A tutto ciò va aggiunta la questione del personale che opera nelle Rsa: sottodimensionato, mal pagato, sovraccaricato di lavoro.

In proposito, Ivan Bernini, segretario generale della Funzione pubblica, sottolinea: “C’è un serio problema di risorse correnti, necessarie alle strutture esistenti, e una evidente incoerenza tra programmi di investimento legati al Nextgeneration-eu e la capacità, una volta terminati i fondi, di farli camminare quegli investimenti, di far funzionare i servizi con il personale necessario. Personale che manca già oggi, e quello in servizio spesso cambia lavoro a causa del carico insostenibile cui è sottoposto. Intanto, i grandi gruppi privati italiani e multinazionali, che costruiscono nuove strutture e aumentano l’offerta al di fuori della stessa programmazione regionale, applicano i contratti di lavoro più poveri del panorama assistenziale.  In questo contesto, i lavoratori fanno del loro meglio, ma sono sempre più sfiduciati: reclamano certamente retribuzioni più dignitose ma avvertono – contemporaneamente – il venir meno della considerazione e della centralità del lavoro che svolgono”. 

Di fronte a una tale situazione – aggiunge Tiziana Basso, segretaria generale Cgil Veneto – riteniamo miope e irresponsabile continuare con la retorica del ‘Non mettiamo le mani nelle tasche dei veneti’, con cui recentemente il presidente Zaia ha giustificato ancora una volta la decisione di non reintrodurre l’addizionale Irpef per i redditi più alti. In questo modo si è rinunciato a circa 300 milioni di euro che, unitariamente come sindacati, lo scorso autunno, avevamo chiesto venissero destinati al welfare territoriale, prevedendo ciò che altrimenti sarebbe successo. Purtroppo, siamo rimasti inascoltati, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti sulla sanità, sull’assistenza, sugli aiuti a chi non può pagarsi un affitto e su tutto il resto”.

Ovviamente – concludono Basso, Agiollo e Bernini -, non ci basta aver avuto ragione, e continueremo a batterci per ottenere risultati su quelle che per noi sono priorità assolute: servono risorse e investimenti significativi per affrontare l’autentica emergenza sociale in corso; va approvata finalmente la riforma delle Ipab che aspettiamo da troppi anni e messa in campo una programmazione complessiva che riguardi il sistema residenziale, semiresidenziale e domiciliare; serve un contratto di lavoro unico di settore, perché il personale rappresenta un vero e proprio patrimonio delle nostre comunità, senza il quale delle strutture rimarrebbero solo i muri.  

Anche per questo il prossimo 7 ottobre, migliaia di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati veneti saranno a Roma, per accendere i riflettori su problemi che devono diventare una priorità assoluta dell’agenda del Governo nazionale e dell’Istituzione regionale”.

Foto di Freepik

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