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Spi Verona: la mannaia del governo sul sistema previdenziale

Nessuna riposta per le pensioni dei giovani e delle donne; si continua a tagliare sulla perequazione delle pensioni vigenti usando i diritti acquisiti da chi ha lavorato una vita per finanziarie politiche di condoni ingiuste e presunte riforme fiscali dalla dubbia legittimità costituzionale. Si ritoccano al ribasso e retroattivamente gli indici di rivalutazione dei contributi pensionistici per i dipendenti pubblici; si alza ancora, per tutti, l’asticella del pensionamento anticipato, tanto da far ormai perdere di significato questo istituto: ci vogliono ormai 67 anni per la pensione di vecchiaia; 42 anni e 10 mesi per una anticipata (un anno in meno per le lavoratrici) e 71 anni per giovani e donne nel sistema contributivo.

La manovra del governo non poteva restare senza risposta, e infatti anche nel Veneto si è fatta sentire forte e chiara la risposta dei 10 mila scesi in piazza a Padova per lo sciopero nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori del Comparto Pubblico, Istruzione e Ricerca, Trasporti, Igiene Ambientale, Poste, Consorzi di Bonifica, proclamato da Uil e Cgil a cui hanno aderito anche gli studenti dell’Udu e della Rete degli Studenti. Ma la protesta si è fatta sentire in tutti gli uffici pubblici e nei servizi. E venerdì 24 novembre sciopereranno lavoratrici e lavoratori di tutti i settori privati del Nord.

Uno studio di Cgil e Spi ha ricostruito analiticamente il taglio alla perequazione: “Questi tagli proiettati sull’attesa di vita media – si legge nell’analisi – raggiungono importi elevatissimi, si parte da 6.673 euro netti per un pensionato con una pensione netta di 1.786 euro, fino a raggiungere 36.329 euro nette, per una pensione di 2.735 euro nette”.

Complessivamente la stretta sulla perequazione “produce un risparmio per le casse dello Stato, con conseguente taglio sulle pensioni, di oltre 3 miliardi e mezzo nell’anno 2023 e di oltre 6 miliardi e 800 milioni nell’anno 2024. Per il decennio 2023/2032 il risparmio contabilizzato nella documentazione sopra specificata ammonta ad oltre 61 miliardi di euro”. Al netto degli effetti fiscali (le mancate entrate derivante dalla tassazione) la minore spesa pensionistica effettiva si riduce di circa il 40%, quindi: circa 2,2 miliardi nel 2023; 4 miliardi di euro nel 2024; e complessivamente 35,8 miliardi nel decennio 2023/2032.

Come se non bastasse, il governo ha programmato di cambiare dal 2027 gli indici con cui calcolare la rivalutazione delle pensioni, sostituendo l’attuale indice di perequazione con il deflatore Pil. Sembra un tecnicismo, ma non lo è: “questa modifica avrebbe un impatto gravissimo sulle pensioni, con una perdita mensile di 78 euro per una pensione di 1.786 euro nette e di 230 euro per una pensione di 2.735 euro nette. Dati che se proiettati sull’attesa di vita media, raggiungono importi che variano tra 18.019 euro fino a 35.051 euro di mancato guadagno”.

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