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Sanità: durante il 2020 le famiglie sono ricorse di più al mercato

Il blocco delle visite specialistiche e degli interventi chirurgici non urgenti attuato a più riprese dalle autorità sanitarie ed ospedaliere durante il 2020 per preservare i posti letto in terapia intensiva e decongestionare i nosocomi, ha avuto l’effetto di abbattere le entrate derivanti da ticket sanitari, ma anche di aumentare i costi a carico delle famiglie.

L’ultima relazione della Corte dei Conti analizza che “a consuntivo, la spesa sanitaria ha raggiunto i 123,5 miliardi, con un incremento del 6,7 per cento rispetto al 2019 (7,5 per cento l’incidenza sul prodotto rispetto al 6,5 dell’esercizio precedente)” A tale risultato, scrivono i magistrati contabili “ha contribuito anche la brusca diminuzione dei ricavi (-1,3 miliardi), imputabile in prevalenza alla flessione della domanda di servizi sanitari non Covid (sospensione delle normali viste specialistiche) con relativa riduzione delle entrate per ticket (per circa 500 milioni), delle prestazioni di intra-moenia (circa 300 milioni) e delle entrate per mobilità internazionale (circa 200 milioni). Tutti importi portati in riduzione della spesa”.

Di conseguenza è aumentato da parte delle famiglie il ricorso al mercato: “Più limitato, ma sempre rilevante, il contributo alla variazione della spesa delle prestazioni market (+3 per cento). Un risultato che è frutto di andamenti molto diversi tra le componenti, proprio a ragione della diversa incidenza della pandemia e delle misure assunte per contrastarne la diffusione. Crescono del 3,2 per cento le spese per le prestazioni specialistiche e del 12,7 per cento quelle per assistenza medica generica, su cui ha inciso, oltre all’emergenza, il rinnovo delle convenzioni. Si sono invece ridotte le spese per assistenza ospedaliera da privati (-1.25 per cento) e quella per farmaci e per la riabilitativa (rispettivamente -3,6 e -4,6 per cento). Si tratta di variazioni da ricondurre al rallentamento e, in alcuni periodi, al blocco delle attività di assistenza rese necessarie dalla pandemia e dalle misure per il distanziamento sociale (lockdown)”.

Sempre secondo la Corte, “superata la fase di emergenza, il ritardo dovrà essere recuperato, eventualmente (come in parte avvenuto già nel 2020) con l’individuazione di interventi straordinari per il riassorbimento di prevedibili tensioni sul fronte delle liste d’attesa”. Forse questi numeri non dicono tutto sulla condizione delle famiglie, i cui redditi nel 2020 sono già stati compressi dal ricorso alla cassa integrazione. Secondo una ricerca dei Centri di assistenza fiscale della Cgil Veneto effettuata su un campione di 4.243 denunce dei redditi appartenenti a lavoratori dipendenti, la perdita media di reddito nel 2020 è stata di 549 euro per lavoratore. Il reddito medio dei lavoratori è dunque passato dai 23.742 euro del 2019 ai 23.193,50 euro dello scorso anno. A fronte di un 31% che ha visto migliorare la propria condizione, ben il 44% dei lavoratori ha visto invece ridursi significativamente il proprio reddito, mediamente di 3.505 euro nell’arco dell’anno.

Già prima della pandemia l’Italia era il Paese dell’Unione Europea in cui era più alta la compartecipazione delle famiglie alla spesa sanitaria: secondo una indagine della Commissione europea presentata a fine 2019 eravamo al 23,5% (dati 2017) contro il 16% della media degli altri Stati membri. Il grosso riguarda le spese ambulatoriali (comprese quelle odontoiatriche) a quota il 9,1%. I farmaci sono al 6,6% e l’assistenza residenziale è al 2,5%. Di quanto sarà aumentato ancora il divario durante la pandemia?

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