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Pensioni: da retributivo a contributivo, un taglio netto del 37%. Lo Spi: “Chi ha potuto è fuggito, l’attuale sistema sta costruendo generazioni di pensionati poverissimi”

L’attuale livello del dibattito politico sulle pensioni, con la corsa dei partiti a mettere la bandierina su ogni piccolo aggiustamento alla cosiddetta riforma Fornero (confermandone però di fatto tutte le storture) e con il governo sempre più determinato a raggiungere una sbrigativa mediazione politica, non rende giustizia della condizione sociale di migliaia di pensionati veronesi che stanno già vivendo sulla propria propria pelle il pieno effetto del passaggio dal sistema di calcolo retributivo (considerato “troppo generoso”) al sistema contributivo (considerato “più equo e sostenibile”), né quella di decine di migliaia di giovani e di donne che l’attuale sistema condanna ad un futuro pensionistico più che povero, poverissimo.

Nella provincia di Verona sono già 12.825 (circa il 6% del totale delle pensioni da lavoro) le pensioni pagate con il sistema del contributivo “puro”, cioè calcolate sulla base dei soli contributi versati. La grande maggioranza di esse (9.512 pensioni, con importi medi di appena 228,68 euro) appartengono al fondo dei lavoratori parasubordinati, una categoria spuria (né dipendenti né autonomi) “istituita” nel 1995 con l’introduzione della “Gestione Separata” dell’Inps nel tentativo di tenere insieme un mercato del lavoro in continuo smottamento.

Nel medio periodo il contributivo puro è destinato a diventare maggioritario in tutti gli altri fondi pensionistici (lavoratori dipendenti, commercianti, artigiani ecc) con risultati che, per chi li vuole vedere, sono già sotto ai nostri occhi: se ad esempio prendiamo il fondo dei lavoratori dipendenti (FDLP) possiamo facilmente constatare che l’importo medio delle pensioni erogate  con il sistema contributivo puro risulta del 37% più basso rispetto all’importo medio delle pensioni pagate con il vecchio sistema retributivo. L’assegno medio mensile passa infatti dai 1.132 euro mensili del vecchio regime retributivo ai 709 euro medi mensili del nuovo sistema contributivo puro. Analoghe riduzioni conoscono gli altri fondi, dagli artigiani ai commercianti ai coltivatori diretti.

Questo taglio del 37% è destinato ad impennarsi nel futuro date le condizioni delle nuove generazioni di lavoratori e lavoratrici entrate nel mondo del lavoro negli ultimi decenni, enormemente più esposte rispetto al passato a buchi contributivi, periodi di disoccupazione o inattività dovuti a precarietà del lavoro, instabilità del quadro economico, nonché dalla perdurante carenza di servizi alle famiglie  dalla inefficacia delle politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia.

Le donne e i giovani oggi pagano il prezzo più alto della profonda trasformazione del mondo produttivo e della risposta che si è dato a questa trasformazione con una precarietà che è diventata precarietà di vita. La vita lavorativa delle giovani generazioni è infatti costellata sin dal  suo inizio da precarietà, lavoro parasubordinato illegittimo, lavori a chiamata, buchi contributivi.

Un altro aspetto che emerge dai dati Inps è che anche a Verona, come nel resto del Paese, le rigidità introdotte dalla Riforma Fornero, che ha allungato l’obbligo lavorativo in un solo colpo senza prevedere alcuna flessibilità in uscita (producendo tra l’altro ben 9 sanatorie per rimediare al problema degli “esodati”) ha innescato un fenomeno di fuga dal lavoro che ha visto in prima fila il ceto medio, percettore di stipendi mediamente più elevati che hanno consentito  di sostenere i tagli all’assegno pensionistico imposti dai vari sistemi di uscita anticipata (Quota 100, Ape, ecc.). L’impennata fino a 2 mila euro nell’andamento degli importi medi delle pensioni pagate con il Sistema Misto “Fornero” evidenzia proprio questo fenomeno.

Dal un punto di vista sindacale non possiamo che essere contenti della possibilità offerta a questi lavoratori, ma non possiamo tacere l’iniquità di un simile sistema di incentivi, che ha lasciato sul campo una platea di lavoratori e lavoratrici mediamente più poveri per i quali è stato molto più difficile, in molti casi impossibile, vista la complessità dei requisiti che devono combaciare, accedere agli incentivi come Opzione Donna o l’Ape Social. O semplicemente non se li sono potuti permettere.

Dal punto di vista dello “statista” sarebbe inoltre da chiedersi se i lavoratori che hanno potuto beneficiare degli incentivi (che NON sono stati il muratore, l’operaio alla catena di montaggio o altro lavoro gravoso) non sarebbero stati più utili al proprio posto di lavoro, soprattutto oggi che il Paese è chiamato alla ripresa post Covid. La loro mancanza la stiamo sperimentando, ad esempio, nella carenza di personale delle professioni sanitarie.

Ecco quindi che quando si parla di pensioni, il Sindacato non vuole “appendersi” alla diatriba retributivi/contributivo, ma chiede a tutti di guardare in faccia alla condizione reale del Paese, in special modo a quella delle giovani generazioni la cui prospettiva sono quei 700 euro mensili di pensione o anche meno. E’ a loro che dobbiamo spiegare perché un sistema previdenziale pubblico  dovrebbe essere più equo, giusto e conveniente di una pensione privata, e quale tipo di società equa, solidale e sostenibile si vuole promuovere con il finanziamento del welfare. Ed è a loro che dobbiamo spiegare perché si continua ad insistere sulle pensioni malgrado il sistema previdenziale italiano sia complessivamente in equilibrio.

Ribadiamo inoltre che quando si parla di pensioni si parla inevitabilmente di lavoro, della sua qualità  della sua stabilità, della sua formazione, delle sua retribuzioni. A retribuzioni misere, discontinue, precarie, corrisponde non solo una pensione povera, ma anche un sistema previdenziale debole e una società vulnerabile dove si alimentano diseguaglianze e rancore sociale. 

Ecco perché diciamo che la prima cosa da fare è istituire una pensione di garanzia per i giovani e dare un riconoscimento concreto al lavoro di cura ad esempio con 12 mesi di anticipo pensionistico per ogni figlio.

Come sindacato dei pensionati, riteniamo che i provvedimenti  dell’attuale Governo siano totalmente insufficienti, non solo perché non danno risposte  agli attuali pensionati in termini di regime fiscale, riconoscimento dalla 14^ mensilità e rivalutazione delle pensioni, ma principalmente perché non si dà un futuro previdenziale equo  ai giovani e alle donne che in questi anni hanno pagato un prezzo altissimo. E’ per questi motivi che abbiamo proclamato la mobilitazione.

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