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Bankitalia e Corte dei Conti sulla manovra: alcune misure favoriscono l’evasione

Innalzamento della soglia dei pagamenti in contante, limitazione dei pagamenti con il bancomat, ampliamento del regime fiscale di favore per i lavoratori autonomi, rottamazione delle cartelle esattoriali. È il poker di misure calato dal Governo Meloni per la manovra di Bilancio 2023 che ha fatto sobbalzare sulla sedia i magistrati contabili della Corte dei Conti e i funzionari della Banca d’Italia. Preoccupati sia per l’impegno finanziario richiesta da molte di queste misure, sia per il messaggio politico che esse mandano.

Il regime decisamente più favorevole garantito al di sotto di determinate soglie di giro d’affari può condurre, come le prime evidenze empiriche mostrano, a scelte organizzative subottimali e incentivare l’evasione” ha messo nero su bianco Bankitalia commentando l’estensione del regime forfettario (imposta sostitutiva al 15%) e la sperimentazione di una ‘flat tax incrementale’ per il 2023. Misure che nel complesso determinerebbero una riduzione di entrate di 1,9 miliardi di euro in tre anni.

Sulla stessa scia, la Corte dei Conti valuta che così “si indebolisce ulteriormente il ruolo dell’Irpef e se ne accentua la specialità sui redditi di lavoro dipendente e di pensione”.

Allo stesso modo, le diverse misure di rottamazione delle cartelle esattoriali secondo Banca d’Italia “possono avere un effetto negativo sul rispetto delle norme tributarie da parte dei contribuenti”. La Corte dei Conti osserva che “in assenza di qualsiasi valutazione sulla effettiva situazione di disagio del debitore, si finisce per accordare un beneficio a un vastissimo numero di soggetti”.

Appare quindi singolare che la polemica politica si sia concentrata quasi esclusivamente sulla relazione di Banca d’Italia, la cui posizione sulla “tosatura” della rivalutazione delle pensioni è del resto piuttosto tiepida: “Per quanto riguarda le norme sull’indicizzazione – scrivono i funzionari- va considerato che i percettori dei trattamenti di pensione sono più protetti di altri gruppi sociali dall’effetto dell’inflazione sul potere d’acquisto”.

Di tutt’altro segno appare il giudizio della Corte dei Conti, il suo cruccio è che “non si contrasti adeguatamente l’idea di un sistema che considera i pensionati non tanto come assicurati aventi diritto a predeterminate prestazioni calcolate in funzione dei premi versati, quanto piuttosto quasi come ‘dipendenti’ delle Amministrazioni pubbliche ai quali di volta in volta si decide o di concedere benefici (nei lustri scorsi è stato il caso della quattordicesima mensilità, solo per fare un esempio) oppure al contrario di tagliare prestazioni in maniera abbastanza scollegata da sottostanti diritti”.

L’analisi della Corte dei Conti si misura anche con la spesa sanitaria, che cresce sì, ma in maniera appena sufficiente a coprire l’aumento dei costi energetici, mentre restano sul tappeto una serie di temi di fondamentale rilevanza: “Sono molteplici le necessità che caratterizzano la gestione sanitaria” scrivono i giudici contabili, che elencano: “Rilevanti i fabbisogni di personale riconducibili a carenze strutturali e, in prospettiva, alla riforma dell’assistenza territoriale; permangono le necessità per il riassorbimento delle liste d’attesa cresciute con la pandemia; va data attuazione effettiva ai nuovi Lea, mentre continuano a persistere differenze nell’assistenza offerta a livello territoriale”.

La Corte rimarca infatti che “sono ben 14 le Regioni che presentano performance peggiori di quelle del 2019 nel caso degli interventi cardio vascolari caratterizzati da maggiore urgenza (classe A) che dovrebbero essere eseguiti entro 30 giorni”. Solo di poco migliore l’andamento per quanto riguarda i tumori maligni: “Sono 12 le Regioni che hanno peggiorato le loro performance”. Anche le prestazioni di specialistica ambulatoriale “non hanno recuperato i livelli del 2019: nel primo semestre 2022 le prestazioni erogate risultavano in media nazionale inferiori del 12,8 per cento a quelle dello stesso periodo del 2019 e 13 Regioni si collocavano al di sotto della media (di cui 7 segnavano cali superiori di oltre 6 punti percentuali)”.

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