Aumentare le pensioni minime e la quattordicesima e allargare la no tax area. Ecco alcuni degli obiettivi “previdenziali” annunciati dal governo e che verranno discussi nei prossimi giorni durante il tavolo tecnico istituito dal ministro Poletti con i sindacati.
Beh, se così fosse, ovvero se andassero in porto questi obiettivi, a gioire sarebbero soprattutto le pensionate che sono decisamente più povere dei “colleghi” maschi. Anche nel Vicentino, infatti, come evidenziano i dati 2016 forniti dall’Inps ed elaborati dallo Spi CGIL del Veneto, una “anziana” su tre vive con un assegno previdenziale talmente basso da non poter condurre una esistenza né dignitosa né normale. Risultato? Oltre 39 mila pensionate vicentine devono ricorrere a un aiuto economico (integrazione al trattamento minimo) da parte dello stato. Tanto per intenderci, l’integrazione è stata invece accordata “solo” a 5.456 pensionati maschi.
La situazione, per molti versi drammatica, è già testimoniata dalla differenza fra gli assegni previdenziali degli uomini e quelli del donne. Nel vicentino infatti l’importo medio mensile è di 1.210 euro per i maschi e di 651 euro per le donne. Prendendo in esame l’importo della pensione di vecchiaia, quella degli anziani è il doppio rispetto a quella delle anziane (1.424 euro contro 740 euro). Ecco perché su circa 44.638 integrazioni al trattamento minimo, nel 2016, l’87,8% è stato richiesto e ottenuto da pensionate e solo il 12,2% da pensionati.
“Questi dati rendono conto in modo inequivocabile, al di là di tante parole, delle enormi differenze che ci sono state e ancora permangono fra donne e uomini nel mondo del lavoro – sottolinea Igino Canale, segretario generale Spi Vicenza – Questi sono i dati della provincia di Vicenza ma grosso modo i rapporti sono simili anche nelle altre province. Va assolutamente incentivato il lavoro delle donne evanno sostenute le famiglie in termini di servizi. Più asili nido, più scuole materne, più strutture pomeridiane per i minori e una giusta valorizzazione anche economica della genitorialità. Ricordiamo che, per quanto riguarda l’integrazione al trattamento minimo, deve essere richiesta all’Ente previdenziale dallo stesso pensionato o pensionata che spesso non sa però di averne diritto. Ecco perché da tempo lo Spi ha lanciato la campagna sui diritti inespressi. I nostri operatori sono a disposizioni nelle sedi territoriali dello Spi per controllare e verificare le pensioni e vedere se possano o meno usufruire di integrazioni o di altri benefici. Con questa iniziativa stiamo recuperando migliaia di euro a favore di moltissimi pensionati vicentini”.
“Una delle nostre principali battaglie anche a livello regionale sarà proprio questa – commenta Rita Turati, segretaria generale dello SPI CGIL del Veneto – dare alle pensionate quella dignità che attualmente non può essere garantita da assegni così bassi rispetto a quelli degli uomini. Ecco perché da tempo chiediamo il riconoscimento del lavoro di cura. Le responsabilità familiari, infatti, non sono condivise e i servizi o non ci sono o sono troppo cari. Spesso quindi le donne per motivi familiari sono costrette ad interrompere la loro carriera lavorativa o a chiedere una riduzione d’orario. Da questo nasce il successivo gap salariale fra pensionati e pensionate. In più la prospettiva di vita delle donne è più lunga rispetto agli uomini e quindi molte pensionate “campano” con l’assegno di reversibilità che è molte volte insufficiente a garantire un livello di vita dignitoso. In tale contesto le richieste al governo di ampliamento della 14esima per gli assegni più bassi e dell’allargamento della no-tax area ai pensionati sotto i 65 anni, diventano elementi fondamentali per rendere più dignitose anche le pensioni delle donne”.
INTEGRAZIONE AL TRATTAMENTO MINIMO
L’integrazione al minimo è un beneficio con il quale lo Stato innalza l’importo delle pensioni più basse portandolo fino alla soglia del cosiddetto “trattamento minimo INPS“, che varia di anno in anno e che nel 2016 è pari a 501,89 euro al mese. Rientrano tra i trattamenti integrabili tutte le pensioni erogate dall’INPS, incluse le pensioni di anzianità, di vecchiaia, di reversibilità e di invalidità; Le pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo (assicurati successivamente al 31 dicembre 1995) e quelle supplementari non possono beneficiare dell’integrazione al minimo. Per quanto concerne il reddito personale, ha diritto per intero all’integrazione al trattamento minimo il cittadino che non è sposato (o è divorziato) e possiede un reddito annuo non superiore a 6.524,07 euro. Chi invece possiede un reddito superiore a tale soglia, ma inferiore a 13.049,14 euro annui (il doppio del reddito massimo precedentemente indicato), ha diritto a una integrazione ridotta. Diverso il caso di chi risulta coniugato (reddito familiare). Per calcolare le soglie di integrazione al minimo chi è sposato deve infatti sommare al proprio reddito quello del coniuge; il pensionato ha quindi diritto all’integrazione per intero quando il reddito annuo complessivo non supera i 19.573,71 euro e il reddito del pensionato non supera i 6.524,07 euro. Altrimenti, se il reddito personale è compreso tra 6.524,57 euro e 13.049,14 euro e il reddito della coppia è compreso tra 19.573,71 euro e 26.098,28 euro, l’integrazione spetterà in misura ridotta.