di Daniele Giordano – FP Cgil Veneto
Il sistema delle autonomie vive una profonda crisi dovuta in particolare al taglio incessante dei trasferimenti, all’impossibilità di dare risposte ai cittadini e alla crisi “democratica” che sta vivendo.
Se vogliamo “difendere” il sistema, inteso come istituzioni vicine al territorio e ai cittadini, dobbiamo necessariamente pensare a come costruiamo un percorso di riforma partecipato che non ceda a ricentralizzazioni burocratiche e allo stesso modo apra un serio confronto con i lavoratori.
Sul versante del sistema è necessario più che mai definire due parametri che orientino il riassetto: la definizione dei livelli minimi e la conseguente definizione dei costi standard.
Dobbiamo essere in grado di non penalizzare le realtà efficienti che garantiscono, seppur con molte difficoltà, i servizi ai cittadini e avviare un percorso di cambiamento per quelle realtà che oggi, non solo per carenza di risorse, non garantiscono i servizi in un federalismo che ha prodotto solo un aumento delle disuguaglianze.
Tutto ciò è connesso ad una definizione dei livelli istituzionali che metta al centro la costruzione del welfare territoriale ridefinendo in modo chiaro quali sono i compiti programmatori e quali gestionali. Deve essere ridata centralità alla contrattazione non solo sulle condizioni di lavoro o dei salari, sempre più bassi, ma sul sistema e senza “espellere” migliaia di lavoratori. Ripensare i livelli istituzionali vuol dire parlare della garanzia di accesso ai servizi pubblici e della valorizzazione delle persone che li devono garantire, dentro un nuovo contesto in cui FP e SPI possono essere protagonisti per costruire le condizioni di una riforma che contribuisca a rigenerare il sistema delle Autonomie, definendo una vera e propria “contrattazione sociale di filiera”.