IL REPORT SOCIOECONOMICO DELLO SPI CGIL DEL VENETO
Nel 2018 i Comuni della nostra regione hanno ricevuto da Roma 500 milioni in meno rispetto al 2009 e i sindaci hanno aumentato addizionale Irpef (+70,8%) e imposte immobiliari (+42,1%)
Dall’indagine emerge anche che due veneti su cinque guadagnano meno di 15 mila euro lordi all’anno. Mentre l’85% del gettito regionale è appannaggio di dipendenti e pensionati
Era il 5 maggio del 2009. Una data storica, secondo l’allora ministro per le Riforme Umberto Bossi, perché andava in porto uno dei principali cavalli di battaglia della Lega: il federalismo fiscale. Ebbene, a dieci anni di distanza da quel fatidico giorno, quali sono state le conseguenze per la nostra regione? Semplice: i trasferimenti dallo Stato ai Comuni sono passati dal miliardo del 2009 ai circa 500 milioni di euro del 2018, con un decremento del 50%.
E, di conseguenza, sono cresciuti i tributi locali e in particolare l’addizionale comunale Irpef, il cui gettito si è impennato del 70,8 % e le imposte immobiliari (Imu e Tasi), che rispetto all’Ici del 2009 hanno raccolto nel 2017 un importo superiore del 42,1%. Contemporaneamente, la pressione fiscale a livello nazionale non ha accennato a diminuire. Insomma, con il federalismo fiscale si sono dimezzati i trasferimenti e si sono impennate le tasse locali. Un sostanziale fallimento, dunque, come dimostra il report socioeconomico realizzato dallo Spi Cgil del Veneto nell’ambito della negoziazione sociale, che vede i sindacati dei pensionati confrontarsi con Comuni ed Enti locali per individuare politiche volte alla difesa delle fasce più deboli della popolazione.
Il report – che ha elaborato i dati per tutti i comuni veneti – si compone degli elementi necessari per fotografare la situazione sociale ed economica del nostro territorio: dai dati demografici ai quelli reddituali, dai trasferimenti alle tasse locali.
MENO TRASFERIMENTI, PIÙ TASSE. Come detto, l’elemento più eclatante che emerge dallo studio è legato al federalismo fiscale. L’effetto sui trasferimenti dallo Stato ai comuni è a dir poco emblematico. Nel 2009 da Roma erano arrivati circa un miliardo e 66 milioni di euro, crollati a 508 milioni nel 2018 (ultimo dato disponibile). Per recuperare risorse, dunque, i sindaci hanno inevitabilmente aumentato i tributi locali. Con l’addizionale Irpef si è passati dai 257 milioni di euro del 2009 ai quasi 440 milioni del 2017. Imu e Tasi hanno portato nella casse dei Comuni veneti 1 miliardo e 175 milioni di euro circa (2017, ultimo dato disponibile) contro gli 826 milioni e 562 mila euro dell’Ici 2009. Ora – visto che nel 2019 viene meno il decreto blocca-tributi del governo Renzi – 328 comuni veneti (il 58,3% del totale) hanno lo spazio fiscale per aumentare le aliquote di addizionale Irpef, mentre 432 (76,7%) possono intervenire sulle imposte immobiliari, Imu o Tasi, non avendo ancora raggiunto il livello massimo consentito.
DEMOGRAFIA. Il report parte da una analisi demografica che lascia poco spazio alle interpretazioni. La popolazione veneta è sempre più anziana: gli ultrasessantacinquenni sono aumentati dell’11% da 998.092 a 1.108.956 tra il 2012 e il 2018, gli ultraottantenni sono cresciuti del 15% (passando da 291.946 a 336.278). L’invecchiamento, se da un lato è un indicatore positivo, dall’altra richiede da parte dei Comuni politiche molto attente alle esigenze e ai bisogni degli anziani.
REDDITI. L’indagine dello Spi Cgil analizza anche le dinamiche dei redditi in ogni singolo comune veneto. Dal report emerge che nella nostra regione quasi due contribuenti su cinque (1.350 mila cittadini) dichiarano meno di 15 mila euro lordi all’anno. Un altro terzo fra i 15 mila e i 26 mila euro. Gran parte del reddito prodotto nella nostra regione è in capo a pochissime persone. Tanto per intenderci, circa l’8% del reddito complessivo va allo 0,78% della popolazione, quella che dichiara più di 120 mila euro lordi all’anno. In tale contesto, dalla ricerca emerge che su circa 73 miliardi di imponibile complessivo in Veneto, l’85% (61 miliardi) è imputabile a pensionati e lavoratori dipendenti.
NEGOZIAZIONE SOCIALE. L’approfondita analisi realizzata dallo Spi Cgil del Veneto diventa strumento di negoziazione sociale per tutti i singoli territori della nostra regione. La negoziazione, infatti, consiste in un confronto fra le parti sociali e i sindaci (o le aziende ospedaliere, le strutture residenziali, le aziende o gli enti pubblici) per identificare politiche adeguate soprattutto per le fasce più deboli della popolazione.
A partire dal 2011 sono 6.700 i verbali, gli accordi, le intese raggiunti sui più svariati temi: dal recupero dell’evasione fiscale alle esenzioni, dalle politiche per il contrasto alle discriminazioni a quelle abitative e del territorio, fino al gioco d’azzardo. Nel sito dello Spi del Veneto è stata anche creata una mappa navigabile nella quale verranno inseriti i verbali degli accordi raggiunti in ogni comune.
PREOCCUPAZIONE E RIFLESSONI. “Questo elaboratissimo report socioeconomico – spiega Renato Bressan, segretario Spi Cgil del Veneto con delega alla negoziazione sociale – ci regala molti spunti di riflessione e altrettanti spunti d’azione. Noi siamo particolarmente preoccupati dai possibili interventi dei sindaci per coprire la cronica mancanza di risorse dei Comuni. Molte realtà hanno la possibilità di aumentare le aliquote dell’addizionale Irpef, oppure dell’Imu e delle Tasi. Vigileremo affinché qualsiasi decisione tenga conto delle classi più deboli della popolazione e che vengano previste fasce di esenzione per le classi meno abbienti, e quindi anche per i nostri pensionati, la maggior parte dei quali è costretta a vivere con assegni previdenziali modesti. Vigileremo con grande attenzione anche perché non vengano toccati i servizi sociali. Lì non ammetteremo tagli o riduzioni pure in considerazione dell’invecchiamento della popolazione che richiede politiche attente, mirate e adeguate”. Anche Paolo Righetti, della segreteria della Cgil regionale, conferma l’importanza della negoziazione sociale, “fondamentale per tutelare e migliorare le condizioni di vita delle persone che rappresentiamo”. Ma rileva anche le difficoltà di dialogo che continuano a manifestarsi con la Regione. “Non possiamo negare in problemi sul piano relazionale con palazzo Balbi – dice Righetti – per esempio su tematiche importantissime come quelle sociosanitarie che comprendono anche la riforma della Ipab. Più di qualche volta con la Regione il confronto non dà i risultati da noi prospettati e questo è un problema che bisogna risolvere al più presto”.