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Case di riposo schiacciate dai costi: senza riforme destinate a soccombere

Una nota della Fp Cgil Veneto, il Sindacato dei dipendenti pubblici del Veneto, lancia l’allarme sulla tenuta dei conti nelle Rsa, le case di riposo, già prostrate dall’aumento dei costi e dal crollo degli introiti a cui hanno dovuto far fronte durante la pandemia. Ora devono fronteggiare, con armi spuntate, anche il problema dell’esplosione dei costi energetici, oltre che della perdurante carenza di personale sanitario.

Le mancate riforme (il Veneto è l’unica Regione a non aver attuato la riforma delle Ipab) lasciano infatti sul campo strutture vetuste e un modello organizzativo ampiamente superato, incapace di far fronte alle problematiche del mondo attuale.

Durante la pandemia la Regione Veneto ha distribuito ristori a pioggia, senza distinguere tra strutture pubbliche (che hanno costi maggiori determinati dal personale ma non solo) e strutture private.

Inoltre, il settore è diventato poco attrattivo, sia professionalmente che economicamente, per i lavoratori e le lavoratrici della sanità, che a partire dagli infermieri e dalle infermiere sono migrati in massa verso ospedali e altre strutture sanitarie.

«Se il Covid ha rischiato di ‘annientare’ le Rsa, in particolare le Ipab pubbliche, i costi della guerra (quella vera) e i ritardi accumulati sulle infrastrutture energetiche ‘pulite’ determineranno l’impossibilità per molte strutture di continuare ad esistere» dice Ivan Bernini, Segretario Generale della Funzione Pubblica CGIL del Veneto.

Si segnala, poi, l’assenza di una legge sulla non autosufficienza in grado di favorire quanto più a lungo possibile l’autonomia degli anziani, prevenire l’istituzionalizzazione e preservare la qualità della vita. Una legge è necessaria per garantire a questo compito finanziamenti certi e costanti.

Serve dunque aprire «un tavolo regionale con tutte le parti in causa, e non solo con i rappresentanti datoriali come fatto finora da parte della Regione, è necessario e prioritario se si vuole costruire un percorso che miri non solo a ‘tamponare una tantum’ i tanti problemi ma a trovare soluzioni che vedano parziale risultato da qui a 5 anni. Diversamente – conclude Bernini – non si versino lacrime di coccodrillo nel momento in cui molte strutture chiuderanno battenti, molti anziani e disabili resteranno a carico delle famiglie tranne coloro che economicamente potranno assicurarsi un posto letto o un’assistenza domiciliare privatamente».

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